Ai futuri volontari

5 Giugno 2017

Tre mesi fa partivo per raggiungere l’ospedale della Fondazione Pietro Gamba, in Anzaldo, Bolivia.

Ancora adesso, di rientro in Italia, non so esattamente cosa mi abbia spinto a partire. Più di tutto, deve essere stata la necessità di fermarmi dopo sei anni di università in Medicina vissuti alla semplice rincorsa di voti. Voti che, per quanto duramente sudati, hanno solo saputo dire che ero studente nella media, nulla di più. Alla fine della carriera accademica ho avvertito il bisogno irrinunciabile di spingermi oltre, di mettermi in gioco e di rivedermi. Ho sentito forte il richiamo del Servizio verso gli altri e ho cercato di viverlo attraverso la realtà per la quale avevo a lungo studiato, quella del medico. Realtà che ho trovato in Anzaldo, presso l’ospedale della Fondazione Pietro Gamba ETS.

Prima di qualsiasi partenza, per quanto uno cerchi di evitarlo, si ha inevitabilmente qualche aspettativa dei luoghi che si visiteranno, della gente del posto, ed, ovviamente, del tipo di esperienza che ci si accinge a vivere. Per me l’aspettativa era quella di trascorrere tre mesi ad Anzaldo, con la speranza di mettere nello zaino una buona dose d’esperienza soprattutto medica, cercando di essere protagonista e testimone di qualche caso interessante. Aspettative nobili, ma piuttosto scontate, non è vero?

Quello che non mi sarei aspettato, era di trovare “una famiglia”, perché questo ha rappresentato per me l’ospedale della Fondazione. Ogni infermiera, medico, biochimico e volontario che lavora con Pietro non è il dipendente di un ospedale animato da nobili propositi e intenzioni, ma un membro pulsante di una comunità che avanza decisa, unita e forte per coloro che hanno più bisogno, i campesiños. Quella di Pietro è una comunità che mira a fare il bene, e cerca di farlo di volta in volta sempre meglio. Ciascun membro di questa famiglia è chiamato a fare la sua parte, ad assumersi le proprie responsabilità, a lavorare, e lavorare sodo, con ordine e criterio. Non c’è spazio per i mercenari in cerca di un posto di lavoro fisso e di un salario. I volontari alla semplice ricerca di un’avventura finalizzata solo a praticare la medicina, anche senza volerlo, troveranno molto di più e se lo vorranno troveranno una famiglia, anche nella distanza.

Tutto ciò è possibile perché nel centro medico della Fondazione ad Anzaldo, c’è condivisione. Ed è questa condivisione, dai momenti difficili a quelli più lieti, che rende la famiglia anzaldina solida e unita. Non mancano certo i momenti di tensione, in cui si grida, si discute ci si accende. Ma è quell’accendersi di passione tipico di chi mette anima e corpo in ciò che fa. Anche nelle avversità e nelle controversie i membri di questa comunità si ascoltano, si prendono cura l’uno dell’altro, se necessario si correggono a vicenda, anche quando questo richiede l’ammissione delle proprie debolezze e limiti.

Alcune volte l’atmosfera può apparire soffocante perché, come ogni famiglia, anche questa richiede energia e piena partecipazione alla sua vita. Ma gli sforzi e la dedizione a questa comunità sono ripagati con una gioia immensa. La gioia di far parte di un’opera capace di fare del bene. E questo aiuta, o almeno mi aiuta, a sentirmi bene.

Questa è la mia impressione, “a caldo”, mentre rientro a casa, con lo zaino ancora sulle spalle, prima che ciò che ho vissuto e che sento si confonda nella quotidiana routine che mi aspetta qui. Sono immensamente felice di riabbracciare la famiglia che mi aspetta in Italia dopo tre lunghi mesi di assenza. Ma questo lieto rientro è oscurato da un velo di tristezza per la comunità che ho lasciato in Bolivia. E dentro di me spero di rendermi utile per la Fondazione anche a distanza, coordinandomi con altri volontari che sono passati o che in futuro passeranno a trovare Pietro. Perché chiunque passi in Anzaldo con la volontà ed il coraggio di “sporcarsi le mani”, è testimone e portavoce di quello spirito di condivisione necessario per mantenere viva la fiamma che alberga in questa “famiglia”, permettendole di crescere, di avanzare e di fare del bene.

A tutti voi, un profondo e sentito abbraccio.

Dott. Saul Radaelli

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