Ponciano

19 Febbraio 2025

Scrivo queste parole con il cuore colmo di emozioni, riflettendo su Ponciano, un uomo semplice ma straordinario, un contadino di 42 anni che lavora la terra con le sue mani, un coltivatore diretto che si guadagna la vita come un “peon”, un giornaliero che viene ingaggiato ogni volta che c’è da zappare la terra.

Ma, dietro questa vita di fatica, c’è una storia che mi ha toccato profondamente, una storia che risale a cinque anni fa, proprio qui in ospedale. Portò da noi sua moglie, malata di cancro. Era un periodo difficile, e durante l’intervento scoprimmo che il tumore si era diffuso dall’ovaio; la malattia non le lasciò scampo, portandola via in poco tempo. È stato un colpo devastante per Ponciano, che da quel giorno è rimasto vedovo, solo, con il cuore spezzato, e la sua solitudine è stata resa ancora più profonda dal fatto di non avere figli. La sua casa è rimasta vuota, come vuoto è diventato il suo mondo.

Gli ho chiesto se, dopo 4 anni di vedovanza, non abbia mai pensato a trovarsi una nuova moglie. La sua risposta è stata decisa: “Rimango fedele a una sola donna, quella che mi è mancata, e altre non mi interessano”.

Ponciano e la moglie avevano lasciato la terra di origine, in una comunità lontana, per trasferirsi nel paese di Anzaldo, sperando di costruire un futuro insieme, forse progettando di avere dei figli che non sono mai arrivati. Parlo di lui perché l’ho visto lavorare con una forza che ti lascia senza parole, con sudore, con grinta, con determinazione e una compassione che pochi lavoratori giornalieri sanno dimostrare. Lui non si lamenta mai, ma lavora con il cuore, con passione.

Quando parla usa un tono basso di voce, quasi sussurrando, in un castigliano un po’ incompleto e frammisto al quechua, quindi difficile da capire anche per un orecchio ormai allenato. Ci vuole un po’ di pazienza per afferrare ogni sua parola, ma nonostante tutto riesce a farsi comprendere. E la dolcezza d’animo che emana è qualcosa che ti colpisce. Lo ricordo come se fosse ieri, mentre stava accanto alla sua amata moglie, quando gli abbiamo dovuto dare la notizia che non potevamo più curarla, che il cancro ormai aveva vinto. Lì, nel momento del dolore più grande, ha pianto senza vergogna, restando accanto a lei, in silenzio, ma esprimendo senza bisogno di parole un amore che non si può descrivere.

Ora l’ho chiamato per togliere le erbacce dalla piccola coltivazione di patate che abbiamo in Ospedale.
Ponciano è un esempio di umiltà, di quella povertà dignitosa e orgogliosa che non si vergogna mai di essere povera, ma che lo spinge ogni giorno a rialzarsi con le proprie forze e andare avanti. Lui non ha bisogno di niente di più di quello che il Signore gli concede, e lo accetta con gratitudine.

Sono poi andato a trovarlo nella sua casa. Una casa che racconta tanto: lui si prepara da mangiare da solo, lava i suoi vestiti, senza avere un bagno, senza una doccia. Si cucina quelle quattro patate, un po’ di riso, qualche verdura che riesce a comprare una volta alla settimana. Eppure, in ogni aspetto di questa misera vita c’è una nobiltà che non puoi fare a meno di notare. Non si sente mai inferiore a nessuno. Anzi, la sua fierezza è palpabile, come un’armatura che lo protegge dal mondo.

Il suo lavoro, che per molti sarebbe solo una pena quotidiana, lo rende nobile. E io, guardandolo, mi rendo conto che c’è tanto da imparare da persone come lui, che vivono con pochi beni materiali, ma con una ricchezza d’animo che pochi di noi riconoscono e meno ancora posseggono. Pensando a lui, mi viene in mente quanto siamo fortunati noi che abbiamo pensioni, assicurazioni sanitarie, mentre lui non ha nulla di tutto ciò. Quando si ammalerà, chi lo aiuterà? A chi si rivolgerà? Mi sembra davvero crudele pensare che non possiamo fare nulla per aiutarlo, per dargli una speranza. Mi rifiuto di rassegnarmi a questo, e proprio per questo sto cercando di raccogliere qualcosa tra i campesinos, piccole somme che consentano loro di assicurarsi. Voglio che, se un giorno dovessero ammalarsi, possano contare su di noi, su un aiuto che non li lasci soli.

È un’idea ancora fragile, che però cresce in me con forza, la sento come una rivoluzione possibile, qualcosa che potrebbe cambiare la vita di tante persone in questo posto, dove io vivo ormai da tanti anni, dove ogni giorno vedo la lotta silenziosa di chi non ha nulla, ma continua a vivere con dignità.

Dottor Pietro Gamba

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