Di ritorno da Challviri

16 Marzo 2020

Mi ricordo nitidamente la prima volta che ho conosciuto Pietro.
Arrivata per una combinazione di casi a una delle sue presentazioni in Italia, cercavo una destinazione per un’esperienza umanitaria dopo la laurea in medicina, in realtà sognando l’Africa; ma le immagini del documentario sulla sua opera in Bolivia mi colpirono profondamente e ancora di più mi colpirono il suo sguardo e la sua stretta di mano quando mi disse: “Ti aspetto”. Impossibile tirarsi indietro.

E quindi a quella prima partenza ne sono seguite negli anni altre due, ogni volta ricevendone una ricarica di energia e motivazione per la mia vita e per la specialità che ho poi scelto: il Pronto Soccorso o, come dice Pennac, “tutti i mali dell’uomo, i mali di tutti gli uomini, come a dire tutte le specialità”. E nell’ospedale di Pietro in Bolivia davvero ci si occupa di questo, della grande varietà di malattie di tutti gli uomini, soprattutto i più umili, poveri e dimenticati.

Ogni volta, a me come a tutti gli altri volontari passati di qui, Pietro è riuscito a far realizzare le cose più impensate, contagiati dal suo entusiasmo e dall’impegno morale verso la sua causa.

Il suo carisma e la sua “locura”, o pazzia, sono la chiave con cui Pietro riesce a coinvolgere le persone che lo circondano e a renderle ciascuna parte attiva e portante del meccanismo che sostiene il suo ospedale, come lo chiama lui: “La provvidenza”. Man mano però si avvicina la sfida più difficile da far fronteggiare alla provvidenza: a chi affidare la prosecuzione della sua opera nell’ospedale? Chi può portare avanti la sanità nelle aree rurali boliviane? C’è una fondazione che è nata per sostenere economicamente il futuro dell’ospedale, ma ancora manca la persona da designare per portare avanti tutto questo…

Un fine settimana di gennaio abbiamo lasciato l’ospedale con Pietro e Margarita per visitare il remoto villaggio di Challviri, dove Pietro cominciò la sua avventura prima ancora di divenire medico.
Il piano prevedeva una tappa al villaggio di Rumy Corral, uno dei luoghi che avevano visto il passaggio di Pietro negli anni della sua permanenza tra quelle montagne. Qui ci ha scortato il marito di una paziente da poco operata nell’ospedale, con un intento già dichiarato: offrire al dottor Pietro un terreno (l’unica cosa di cui non scarseggiano i campesinos) per costruire nel villaggio una posta de salud, o ambulatorio. Scopriamo che è stata addirittura indetta una riunione per tutta la comunità per celebrare l’evento, e nonostante Pietro non si sia compromesso in nessun modo sulla questione, non si tira indietro nell’incontrare i campesinos.

Il viaggio di andata sull’ambulanza si snoda attraverso un paesaggio insolitamente assolato e limpido, tra montagne e vallate verdi popolate dai lama, fino a giungere a comunità remote fatte di sparute case di adobes (mattoni crudi di paglia e fango) raggruppate attorno al consueto imponente e moderno tetto del campo sportivo, che l’amministrazione del governo di Evo Morales ha avuto cura di non far mancare in nessun centro abitato. Poi che importa che ci sia a malapena la corrente elettrica, nemmeno l’ombra di acqua corrente o fognature e niente più che un pagliericcio in casa! Di sanità neanche l’ombra. Qui a Rumy Corral nemmeno le quattro mura della posta de salud, che poi nella maggior parte dei luoghi giace silenziosa, deserta e abbandonata. Non è difficile immaginare come si possano sentire abbandonati e vulnerabili gli abitanti di questi luoghi…
Entriamo alla riunione come ospiti d’onore. Io che sono l’antitesi dell’animale da palcoscenico tento di rasentare il muro, ma con Pietro e impossibile passare inosservati e mi trascina direttamente in prima fila davanti a tutti; mi tocca per forza stare al gioco.

Dopo aver lasciato i dirigenti esprimere il loro invito e la loro richiesta, Pietro prende la parola. Racconta dei suoi anni a Challviri, della epidemia di morbillo che si portò via molti bambini del villaggio e del senso di impotenza e riscatto che l’ha portato a lasciare tutto per tornare preparato come medico anni dopo per poter fare la differenza. Si immedesima con la comunità e parla dell’ingiustizia cui sono soggetti, una vita fatta di duro lavoro senza sostegno di alcun tipo. Dice loro tuttavia di non chiedergli di costruire muri: ciò che importa non è la struttura, è la persona che la anima. Serve che qualcuno di loro si formi come infermiere o come medico per tornare con lo spirito di prestare servizio nella propria comunità. In esso Pietro promette di appoggiarli e farsi carico della formazione di una persona che condivida questo spirito e che possa davvero cambiare la loro realtà.

Ovviamente Pietro non può fare a meno di dare la parola anche alla doctorita italiana, mentre io pur volendo scomparire faccio del mio meglio per rafforzare la sua orazione e impegnarmi per un sostegno dall’Italia.
La reazione preponderante del nostro uditorio è di completa delusione: non siamo venuti per costruire la loro posta di salud. In qualche viso tuttavia si legge interesse e riflessione. Il seme è stato gettato, poi si vedrà…
Impossibile comunque esimersi dal visitare il terreno designato all’edificio, e il tradizionale modo che trova Pietro per togliersi d’impiccio è quello di scherzare con i campesinos: ha portato con sé la doctorita italiana apposta perchè costruisca loro la posta di salud e si fermi a lavorarci! Segue acclamazione. Io ormai ci ho fatto l’abitudine, dal momento Pietro ha già tentato di piantarmi da qualche parte, una volta in moglie a un anziano campesino, in un’altra famosissima occasione perfino in mezzo un canyon senza via d’uscita mentre lui andava a cercare il puma…

Riesco abilmente a svincolarmi da questa proposta e ripartiamo finalmente verso Challviri. Arriviamo al crepuscolo, e Pietro viene accolto con grande calore. Riconosce alcuni dei visi degli amici del passato, altri lo sorprendono ormai mutati da quei bambini che erano negli anni della sua vita nella comunità. Mi ha stupito che fossero in pochissimi rimasti della generazione di Pietro; il tempo scorre più rapido e più severo per la gente di queste parti… Sono moltissimi invece i bambini, della cui allegria brulicano case e strade. Scopriamo che anche qui è in corso la riunione della comunità, e veniamo condotti in un grande locale buio dove piano piano si mettono a fuoco i visi di un centinaio di campesinos raccolti in cerchio. Sul banco centrale un manifesto con il faccione di Evo Morales e del suo partito Mas, propaganda capillare e univoca sulla votazione alle prossime elezioni.

La parola va a Pietro, che esprime l’affetto e la vicinanza con il popolo di Challviri, il suo primo amore che l’ha spinto a formarsi come medico per tornare a fare un’opera di servizio in Bolivia. Riprende dunque col cuore in mano il discorso portato a Rumy Corral: sostenere la formazione sanitaria di un giovane della comunità che poi vi torni a prendere servizio, e l’offerta di tornare tra qualche mese per una campagna di salute. La parola passa poi a Margarita e infine ineluttabilmente anche a me che tento di sopravvivere davanti alla platea di campesinos.

Ciascuna delle autorità pronuncia poi un ringraziamento a Pietro e a noi, che viene tradotto concretamente in forma di un enorme sacco di patate, loro unica ricchezza e sostentamento. Rientriamo intirizziti alla mezzanotte, mentre la riunione si protrarrà ancora a lungo… Di quella sera e del giorno seguente sono rimaste nei miei ricordi delle immagini vivide. Le stelle più nitide, vicine e luminose che abbia mai visto nella mia vita. La calorosa ospitalità di Don Crescencio e Doña Albina, che ci ha scaldato nonostante il freddo pungente della notte. Il variopinto pellegrinaggio di pazienti della mattina successiva, per lo più nonnine con un lungo corteo di reumatismi che ci portano un sacco di patate o di chuño (patata disidratata) in segno di riconoscenza per qualche paracetamolo o vitamina dispensata.

Ho l’impressione che quanto facciamo abbia uno scarso valore nel curare il fisico, ma un ben più grande valore nella cura dell’anima di queste persone, nel far sentire che non sono abbandonati ma c’è qualcuno che si prende cura di loro… Pietro intanto riceve la visita di padre Renè, suo vecchio amico e diacono della comunità che da anni è il dottore delle anime di Challviri. Renè accompagna un paio di giovani interessati alla proposta della sera precedente. Ramiro è taciturno e riflessivo, non si riesce a leggere dietro i suoi occhi scuri se sia realmente motivato o spinto dalla famiglia in questa risoluzione. Eufelia è spigliata e a parole convinta, vorrebbe prepararsi per l’ingresso a medicina in un anno. Il tempo dirà se queste motivazioni rimarranno vive e ostinate come quelle che mossero Pietro…

L’unica amarezza della giornata è la mancata visita da parte dei dirigenti, promessa il giorno precedente per fissare una data per la campagna di salute e per supportare i propri giovani. Tanto entusiasmo e poi al momento di mettersi in gioco ci si perde. Con la mia mentalità occidentale pragmatica non riesco a comprendere questo modo di agire… Fermandomi a riflettere mi chiedo come penserei e agirei io se fossi nata e cresciuta tra questa gente, senza nessun’altra prospettiva che la linea delle montagne che circonda questa vallata, senza nessun altro futuro immaginabile che vivere del duro lavoro del mio campo e mettere al mondo dei figli che continuino questo cerchio della vita… Mi preoccuperei di progettare un futuro più in là del mio domani sapendo che gli eventi avversi della vita possono togliermi tutto da un momento all’altro?

Forse anch’io vivrei alla giornata godendo delle piccole gioie quotidiane e scongiurando mali e preoccupazioni… oppure cercherei di abbandonare tutto e fuggire verso il miraggio della città per non tornare mai più…
In questi luoghi ancora servono istruzione, sensibilizzazione, i servizi di base per l’uomo di cui in primis la sanità, e qualcuno che porti man mano una prospettiva diversa, la speranza e la determinazione di poter costruire da protagonisti una vita migliore nella propria terra.

Nonostante questa realtà, con le sue parole e il suo esempio Pietro ha saputo lanciare un messaggio di speranza e di riscatto, lasciando la mano tesa per chi avrà il coraggio di accettare questa sfida e di portare avanti l’assistenza sanitaria nelle aree rurali della Bolivia. Sono sicura che la Provvidenza che l’ha sempre accompagnato saprà anche affiancargli, al momento meno atteso, la persona giusta per farsi carico del futuro dell’ospedale di Anzaldo, e continuerà a lavorare dalla Bolivia e dall’Italia per sostenerlo. E anche se non ce ne rendiamo conto, ciascuno di noi può essere parte di questa Provvidenza… Abbiamo il coraggio per farlo?

Dott.ssa. Giulia Bottani

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