Fresche impressioni dopo visita a Comunidad di Challviri – Prima parte

12 Agosto 2009

Quest’anno è la seconda volta che visito la comunità di Challviri, che stimo come un primo innamoramento per questa terra Boliviana per avermi permesso conoscere dal di dentro la vita di questa comunità, come non ho mai più potuto sperimentare.
E’ un grosso impegno quello di traslocarci con le attrezzature mediche e il personale necessario per una campagna medica. Assieme ad una parte del personale dell’Ospedale di Anzaldo, ci accompagnano alcuni giovani venuti in vacanza dall’Italia con don Sandro del Patronato S. Vincenzo di Bergamo. Il ricevimento è famigliare nella casa di René che ci riceve con papa-waik’u e llajwa cioè con le dolci patate bollite del posto e la salsa piccante, un manifesto segno di calore e di buona accoglienza.

Ci aspettano alcuni pazienti nell’improvvisato centro medico allestito; abbiamo l’ecografo che ci aiuta per il controllo delle quattro gravidanze che ci attendono e l’elettrocardiogramma che ci rivela tutto normale. Anche mia moglie Margarita (Macchi) è attiva con i suoi reattivi per colorare i vetrini del pap-test, aiutandoci con una miglior diagnosi per la ricerca del cancro del collo dell’utero. Vediamo bambini, anziani, volti che riconosco, che mi salutano con un disteso sorriso. Alcuni, immeritatamente, mi baciano la mano o si manifestano con uno stretto e affetuoso abbraccio per dire che il ricordo non si cancella, e altri mi portano un po’ di patate o chugno. Con me vi è il dottor Rizzardi, venuto per la tesi di specialità in Medicina Interna con l’impegno di una ricerca sul diabete in posti isolati dalla città. Naturalmente conferma i sospetti, con glicemie tutte normali che dicono che la popolazione delle alture, seppur abbia come alimentazione base i carboidrati, non soffre di diabete mantenendo un normale metabolismo degli zuccheri.
Si fa tardi; mentre il sole scompare lontano dietro i monti a me famigliari, (conosciuti quando qui mi interrogavo sulla strada da prendere come risposta coerente ai fatti che stavo soffrendo), si percepisce l’intenso freddo invernale dei 3.800 mt.slm che impone ripararsi con il “chulo” la tipica berretta di lana che copre anche le orecchie mentre visitiamo una famiglia dove vi è un giovane epilettico.
Ci troviamo stretti nella piccola cucina che dà un piacevole caldo per il fuoco acceso mentre le patate e la minestra stanno cuocendo per la cena che insieme stiamo aspettando. Siamo seduti su un’asse, poco sollevato da terra e coperto da pelli di pecora, mentre “dogna” Modesta, la moglie di Renè, seduta a terra, armeggia acqua in un catino lavando cucchiai, piatti e bicchieri di metallo che servono poi per passarci una zuppa calda con rituale rispetto per ognuno e che ci si serve nella forma più naturale. Attorno c’è silenzio, sentiamo il suono del pututu, tipico suono del corno di bue che chiama alla riunione dopo una giornata di lavoro. Tutto sembra immutato e invariato, anche se sono passati velocemente più di trent’anni da quando li ho lasciati per la scelta della medicina. Unica novità è arrivata la luce elettrica con lampadine fluorescenti; e la sorpresa è trovare un piatto da condividere con tutti, di un fresco agnello sacrificato per il nostro arrivo che mi riporta ai pensieri della fame sofferta.

 

Pietro

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