Il figliol prodigo… Un merito per “Progetto Missione”

12 Maggio 2017

È stato un week end intenso e coinvolgente quello trascorso a Challviri con Pietro Gamba. Partiamo la mattina presto, verso le cinque, in compagnia di Pietro, una volenterosa infermiera ed un altro medico volontario.

Siamo intorpiditi dal sonno, ma vibriamo di emozione per il viaggio che ci attende e per il motore dell’ambulanza che ruggisce sulla strada ripida e dissestata che sale verso l’altopiano.

Trasportiamo un carico prezioso: Don Gregorio, campesiňo di 24 anni, di ritorno dopo otto mesi nel suo villaggio natio, Challviri. Otto mesi scanditi da complicate chirurgie ricostruttive per la sua gamba, brutalmente fratturata in più punti in un violento incidente. Gli interventi di ricostruzione, realizzati presso l’ospedale della “Fondazione Pietro Gamba ETS” in Anzaldo, sono stati sofferti, ma di esito favorevole per Gregorio, che torna a casa potendo camminare sulle due gambe. Sul volto del giovane si percepisce un’immensa felicità comprovata dal suo sguardo, sempre più lucido ad ogni metro percorso verso Challviri.

In questa sofferta disavventura, Gregorio ha potuto contare sul Gruppo Progetto Missione, che da più di 30 anni, sostiene con vigore le attività del Dott. Pietro Gamba e della suo ospedale e che hanno reso possibile le chirurgie. Il giovane campesiňo, di famiglia povera, non avrebbe mai potuto permettersi le cure e gli interventi necessari a salvargli la gamba. Probabilmente senza questo importante supporto Gregorio avrebbe perso l’arto, o peggio, la vita.

Percorriamo con difficoltà strade aride e polverose, attraversando alcuni villaggi, costituiti da pochi agglomerati di case, edificate con fango e paglia. La strada sale ripida e sassosa rivelandoci paesaggi verdi, intervallati qua e là dai campi scoscesi, coltivati a patate, principale (se non unico) alimento per i campesiňos.

In tarda mattinata siamo in vista di Challviri. Pietro annuncia il nostro imminente arrivo facendo suonare la sirena dell’ambulanza. L’acuto fragore riecheggia nella silenziosa vallata mentre scendiamo verso il villaggio.. Finalmente arriviamo alle porte della casa di Gregorio, un’altra bassa capanna in terra, come molte altre nel villaggio. In pochi secondi, Gregorio scende dall’ambulanza. Avanza rapido verso casa sua zoppicando un poco sul terreno fangoso. Ci vorranno ancora alcuni mesi prima che possa tornare a camminare normalmente. Sulla soglia della casa, compare il papà di Gregorio, Don Guillermo.

I suoi occhi sono lucidi e le sue braccia aperte per accogliere il figlio, finalmente di ritorno a casa dopo otto mesi di distanza. I due si stringono in un lungo e affettuoso abbraccio improvvisamente interrotto da un viscerale grido alle nostre spalle. È la mamma di Gregorio, che sopraggiunge in affanno, dal fiume in cui stava lavando i panni. Cammina rapida, decisa, il volto rigato dalle lacrime e la voce in un grido di emozione e gioia. Stringe il figlio a se in una stretta forte, allungando una mano sul suo volto del giovane, accarezzandolo dolcemente. Indescrivibile l’amore che traspare da questo abbraccio, amore che solo una madre può dare a suo figlio. Uno ad uno, i numerosi membri della famiglia fanno capolino nella capanna per accogliere Gregorio, finalmente di ritorno nella sua comunità.

Ma le sorprese e le emozioni non sono finite. Dal fiume, giunge una giovane, dalle gote rosee e i capelli neri corvino, raccolti in una lunga treccia. Porta con sé sulle spalle un fagotto avvolto nell’aguayo, il drappo colorato tipicamente usato dai campesiňos. Giunta alla capanna, la giovane scioglie il dolce fardello, rivelando al suo interno un bimbo di qualche mese, che osserva i presenti con i grandi occhi scuri. È il figlio di Gregorio. Il figlio che non ha mai potuto conoscere ed abbracciare. Il figlio che ora potrà crescere con il suo papà. Gregorio prende in braccio il bimbo. L’emozione scorre forte e grande in tutti i presenti che assistono alla scena. In particolare in Gregorio, che scoppiando in un pianto di gioia, abbraccia Pietro, ringraziandolo per avergli salvato la gamba, regalandogli la possibilità di ricongiungersi alla sua comunità.

L’occasione va certamente celebrata e Don Guillermo, ospitale padrone di casa e profondamente riconoscente a Pietro, decide di sacrificare un agnello, per offrire ai presenti un lauto banchetto in onore del figlio ritrovato. Condividiamo cos¡ il pasto e la gioia della famiglia riunita, per poi ripartire in ambulanza sul fare della sera, carichi di patate, segno di profondo ringraziamento per la gioia ricevuta, ma soprattutto colmi nei nostri cuori di emozioni per l’esperienza vissuta.

Dott. Saul Radaelli, medico volontario presso la Fondazione

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