Incontri locali significativi

28 Aprile 2025

Desidero raccontare un momento nuovo e originale che si sta vivendo qui in Anzaldo, un’esperienza che ho iniziato alcuni anni fa e che sta prendendo sempre più piede. L’abbiamo chiamato “pijcho comunitario”.

Voglio spiegare cosa significa “pijcho”, o meglio, come l’ho inteso io dopo tanti anni di vita qui in Bolivia. Si tratta della masticazione della foglia di coca, una pratica che ho imparato durante il mio tempo nella comunità di Challviri, vivendo con i campesinos.

Qui, la coca è ancora considerata una foglia sacra, usata un tempo dalle autorità incaiche e dai sacerdoti per le offerte alla Pachamama, la Madre Terra, divinità femminile per eccellenza.

La foglia di coca viene usata ancora oggi in rituali che, ai nostri occhi, possono sembrare strani, ma che esprimono profondo rispetto per la Madre Terra. Quando si costruisce una casa e si ferisce la terra per fare le fondamenta, si offre la coca insieme ad altri elementi rituali, come incensi e feti di lama. La foglia di coca non manca mai. È anche utilizzata dagli stregoni per fare magie, leggere il futuro e svolgere riti propiziatori, invocando protezione e favori dalla Pachamama.

Ricordo un episodio a Challviri, durante il quale si doveva svezzare un toro, legandolo a uno più anziano che lo avrebbe guidato con il giogo all’aratura. Il campesino non sapeva come procedere: se il toro non si fosse lasciato addestrare, non ci sarebbe stato raccolto. Ho proposto di pregare insieme, e così abbiamo recitato un’Ave Maria.

Ma il toro continuava a opporsi al giogo, rifiutando la fatica. Allora il campesino è ricorso alla “k’oa”, un rito durante il quale ha preparato un braciere e vi ha messo coca, incenso e altri elementi sacri.

Così ho scoperto la coca, vivendo in quella comunità. Durante il lavoro, le pause non erano per bere o mangiare, ma per il pijcho: la masticazione della foglia di coca. I campesinos mi spiegavano che la coca dava loro forza, toglieva la fame, li aiutava a sopportare il freddo e la fatica.

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Mi invitavano a provarla, e così, foglia dopo foglia, ho cominciato anch’io a sentirne il piacevole sapore che, nei primi momenti, sembrava masticare delle foglie secche .

Il pijcho si fa normalmente sdraiati al sole, comodi, insieme agli altri. È un momento di gioiosa condivisione, una pausa rigenerante prima di riprendere il lavoro con nuova energia.

Tornato ad Anzaldo come medico, ho notato che qui pochi colleghi masticano la coca. È una pratica tipica dei lavoratori pesanti: minatori, contadini, muratori. Ma io avevo portato con me il sapore e il senso comunitario di quel gesto, paragonabile a quello che per noi è il caffè condiviso: un momento fraterno, per comunicare serenamente la gioia dello stare insieme.

Questo mi mancava. Così ho invitato alcune persone del paese, pensatori e figure di riferimento, a condividere una volta al mese un pijcho: per raccontarci, ma anche solo per il piacere di stare insieme, come prendere un caffè in compagnia.

E ieri sera è stato meraviglioso. Abbiamo condiviso nuove idee, aggiornandoci su come selezionare l’immondizia del paese che, non riciclata, non rispetta la madre terra e  l’ambiente. 

Si è parlato di Salute, Educazione, Spiritualità e quanto ci è spontaneo parlare: basta che non sia parlare male di qualcuno…questo lo proibiamo perché non è il posto indicato.

Al pijcho di ieri erano presenti sette persone di grande rispetto, alcune con incarichi ufficiali nel paese, incluso un generale dell’esercito e altre autorità di lunga traiettoria.

Dopo aver condiviso una cena semplice, abbiamo iniziato a masticare la coca: si prende una foglia, la si sposta nella guancia, dove i succhi la ammorbidiscono lentamente.

Per accelerare l’estrazione del succo si aggiunge un prodotto basico, spesso a base di bicarbonato.

Non si avverte alcuna eccitazione particolare: è come gustare un buon caffè insieme.

Mentre si mastica, si parla e nascono idee, senza voler arrivare necessariamente alla soluzione. E’ condivisione, si sente che l’anima partecipa perché si parla della vita, del quotidiano. Si ride, ci si ascolta. C’è un senso di pace, di condivisione vera, di umanità.

E si sta bene. Un abbraccio che passa da una foglia masticata lentamente, con rispetto e amicizia.

È un momento di gioia semplice e fraterna, che ricarica e prepara a riprendere con serenità gli immancabili impegni.

Dottor Pietro Gamba

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