La storia di Edwin

9 Gennaio 2018

“Come sta Edwin?”.
È una delle prime domande che ho rivolto a Pietro quando ci siamo rivisti qui in Italia, a dieci mesi di distanza.

“Sta bene! È venuto a trovarmi qualche mese fa in Anzaldo, mi ha anche detto che avrebbe ricominciato a studiare e che i suoi colleghi di lavoro hanno fatto una colletta per pagargli la TAC di controllo a Cochabamba.”

Per inciso, Pietro è come me lo ricordavo: ha talmente tante idee e progetti in testa che i pensieri spingono per uscire.

A metà della mia esperienza boliviana ho conosciuto Edwin, fratello di una infermiera che lavorava presso l’ospedale, e questa è la sua storia.

Ha 24 anni.
Quando ci viene presentato, veste una tuta del Barcellona e porta un cappello da baseball.
È un giovane ragazzo come tanti, ma si è trovato di fronte un cancro che gli sbarra la strada verso una vita normale e felice.
Un tumore grosso quanto due palle da tennis gli è cresciuto nella schiena, a livello della spalla sinistra, invadendo i muscoli dorsali, forse anche il polmone.
La TAC e la biopsia lasciano poco spazio alla speranza: sembrerebbe trattarsi di un osteo-condrosarcoma, uno dei cancri più bastardi che esistano.
Ha sei fratelli, un figlioletto di un anno, si paga gli studi di elettrotecnico facendo il mototaxi.
Si pagava gli studi… perché ha dovuto vendere la moto poiché non aveva i soldi per potersi permettere una TAC.
La sua speranza è legata all’asportazione chirurgica: chemio e radioterapia da sole non sarebbero sufficienti.

L’intervento è rischioso.
La costa da cui origina il cancro va asportata, probabilmente andrà aperta la pleura (la membrana che ricopre i polmoni e che ci permette di respirare), forse sarà necessario amputare l’arto superiore.
Dopo un primo esame della questione e data la situazione economica del ragazzo, avevamo deciso di intraprendere l’intervento in Anzaldo, nel tentativo di garantire comunque una chirurgia “dei poveri”, come la definisce Pietro.
Forse lo sarà nei mezzi, ma non certo nei modi poiché avrebbe dovuto operarlo uno dei migliori chirurghi toracici della città.
Ma una volta esaminato attentamente il caso ci siamo accorti che troppi interrogativi pendevano sulla questione, primo tra tutti quello di non avere a disposizione una terapia intensiva.
A conti fatti, ci scontriamo con la realtà: non esiste in Bolivia una struttura in grado di poter assicurare a Edwin il miglior trattamento possibile.

Decidiamo ad ogni modo che non lo lasceremo solo e anche se materialmente non possiamo operarlo qui, faremo in modo che riceva cure più specializzate da un’altra parte.
Per esempio in Italia.

“Ad essere sincera non ci credo più di tanto, ma domani provo a fare due telefonate.
Pietro ha costruito un ospedale in mezzo alle Ande, cosa vuoi che sia questa cosa in confronto?” mi dice Simona quella stessa sera, mentre, rivolgendo gli occhi all’incredibile stellata della notte di Anzaldo, sorseggia la sua tisana nella veranda di casa.

Due telefonate dopo, intravediamo una pista da seguire: scopriamo dell’esistenza di “Probone ONLUS”, una associazione che si occupa di garantire cure mediche agli indigenti che hanno la sfiga nera di imbattersi in cancri come questo.
Il presidente di questa onlus è il dottor Alessandro Gasbarrini, col quale concordiamo che saranno loro ad occuparsi della chirurgia e della riabilitazione, mentre noi ci sobbarcheremo il peso del trasferimento in Italia e di assolvere alla burocrazia necessaria.
Prendiamo contatti con l’ambasciata italiana a La Paz per ottenere in tempo utile il passaporto e il visto, e con BOA, la compagnia aerea di bandiera boliviana per il biglietto aereo.

La condotta operatoria del caso verrà poi decisa da Alessandro stesso, che è chirurgo ortopedico della divisione dei tumori vertebrali dell’ospedale Rizzoli di Bologna.

Passano i mesi, il mio viaggio termina, e torno alla mia vita normale.

All’inizio di maggio ricevo una telefona di Pietro: “Hola! Como estas Davide? Edwin è partito, arriva dopodomani! Adesso è in mano vostra!”
“Qualcuno spieghi a Pietro che l’Italia non è la Bolivia!”, penso, ma vabbè, ormai sta arrivando e ci smazzeremo noi la questione.

Sono da poco passate le 17 del 12 maggio quando dalla porta automatica degli arrivi a Malpensa sbuca Edwin con i suoi due piccoli bagagli.
Ancora una volta sfoggia una tenuta sportiva, come è moda tra i ragazzi della sua età in Bolivia.
Trascorre qualche giorni in Italia ospitato da me, dai fratelli di Pietro e da Antonio prima di venir portato al Rizzoli dove sarà l’equipe del dottor Gasbarrini a prendersi cura di lui.

Veniamo accolti all’ingresso dell’ospedale da Irene, la tuttofare di Probone, che ci accompagna in ambulatorio.

Edwin viene visitato e sebbene il tumore sia molto più grande di come me lo ricordassi, Alessandro non fa una piega nell’esaminarlo, segnale questo a mio parere di grande esperienza e capacità.
Dice che sarà necessario fare TAC, risonanza ed esami vari, ma senza mezzi termini e andando dritto al sodo mi assicura che l’intervento si farà.

Edwin chiede immediatamente se dopo l’operazione potrà tornare a giocare a calcio.
Alessandro sorride: “Certo! Ma sei forte almeno?”. “Soy muy fuerte”, taglia secco lui.

Dopo qualche giorno trascorso a Bologna ospite sia di Alessandro che di Irene, giunge il giorno dell’operazione.

Entra in sala alle 8 del mattino.
Verso mezzogiorno chiamo per avere notizie e Irene mi informa che la parte demolitiva si è conclusa, e che a breve entrerà in sala il chirurgo plastico ad affiancare il toracico e l’ortopedico nella parte ricostruttiva.
Verso le 20, dopo 12 ore di anestesia, Edwin viene trasportato in rianimazione.

L’intervento è riuscito.

La notizia rimbalza da Bologna a Milano, da qui a Bergamo e in Bolivia.
E’ incredibile.

“Questo Gasbarrini è un altro Pietro Gamba” dico ad Antonio al telefono.

In sala gli hanno praticamente smontato la schiena, asportato un tumore di 15 cm, ricostruito 4 vertebre e 10 coste.
L’intervento è andato talmente bene che dopo neanche dieci giorni di degenza post chirurgica Edwin viene dimesso.

Alla visita di controllo prima di rientrare in Bolivia scoppierà a piangere davanti ad Alessandro: “Non potrò mai dimenticare quello che tutti voi avete fatto per me”.

Riaccompagno Edwin a Bergamo, dove (grazie a Saul) di li a poco lo aspetta il volo di rientro per Cochabamba.
Pietro nella sua incrollabile fede mi fa notare l’intervento della Provvidenza che ha fatto sì tramite una serie di eventi che Edwin potesse aver salva la vita.
Gli atei o gli agnostici parleranno di Destino o di Fato, fa lo stesso.

Io rimango allibito di come anche questa volta a vincere sia stata la volontà di qualche uomo che ha saputo vedere una remota possibilità dove altri avrebbero solo sottolineato la presenza di insormontabili difficoltà.

Dott. Davide Razzini

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