La strada del paziente

16 Ottobre 2023

Mi chiamo Iris e conosco la Fondazione Pietro Gamba dall’interno, ma non avevo mai conosciuto la Bolivia.

Pietro mi ha portata a vedere dove, ma soprattutto perché, quarant’anni fa ha deciso di diventare medico. Mi ha portato a vedere da dove provengono i suoi pazienti e a toccare con mano la loro vita, la loro cultura, il loro duro lavoro nei campi.

L’ospedale di Anzaldo è il più vicino per gli abitanti del nord del Potosi, e con “vicino” si intende che per raggiungerlo ci si impiega molte ore, se non addirittura una giornata.

Pietro mi ha portata a Batiajo, una comunità a circa 8 ore di macchina da Cochabamba, e durante il tragitto di tanto in tanto mi indicava una casa, spesso più simile ad una capanna, dicendomi: “lì abita un signore che ho operato”, “a lei abbiamo impiantato una protesi”, “qui è avvenuto un incidente, i superstiti sono stati portati in ospedale da me”.

La strada è lunga e stancante per me, che la percorro su una jeep, che ho vent’anni e che sono una turista, non una paziente. Qui andare dal medico e farsi curare significa veramente intraprendere un viaggio, che può essere pieno di imprevisti: le strade sono sterrate, piene di curve, spesso con uno strapiombo da un lato, si guadano fiumi, si passa accanto a cappellette e croci che ricordano che lì qualcuno, durante il nostro stesso viaggio, ha avuto un epilogo drammatico.

Eppure, nonostante ci troviamo a molte ore di distanza dall’ospedale, la gente che incrociamo ci saluta, dal loro campo di patate o dal ciglio della strada, urlando “buen dia dottor”, “hola Pedrito”; e i pochi che non lo conoscono, dopo i primi convenevoli, ci dicono che hanno già sentito parlare del suo ospedale di Anzaldo.

Nonostante la distanza, nonostante la strada, i pazienti continuano a mettersi in viaggio, lasciando le loro terre e i loro animali, compiendo un grande atto di fiducia, sperando di poter poi stare meglio.

Loro sanno che arrivano e in giornata ottengono una risposta ai propri dubbi, che l’ospedale di Anzaldo è equipaggiato per effettuare analisi, raggi, ecografie, consulte e medicamenti e, nel caso ce ne fosse bisogno, lì si effettuano anche chirurgie, a differenza di molti altri ospedali.

Durante i giorni della mia permanenza si è parlato a più riprese di “responsabilità”, ed è in queste terre isolate che comprendo la responsabilità di cui Pietro anni fa si è fatto carico per offrire assistenza medica dove non c’era, e ritrovo la stessa responsabilità ancora oggi all’interno del suo ospedale, nel ricevere un paziente dolorante ed essere consapevoli della strada che ha percorso, del significato del suo essere arrivato fin qui, del suo affidarsi, che la sua convalescenza possa gravare su altre persone o sul raccolto del proprio campo, che rappresenta il sostentamento di una famiglia. 

Forse farsi curare significa mettersi nelle mani di qualcun altro, e all’interno dell’ospedale di Anzaldo le strette di mano assomigliano più ad abbracci.

Iris

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