Pensieri ed emozioni in bicicletta

2 Maggio 2023

La bicicletta è da sempre l’amica alla quale ricorro per concedermi un salutare esercizio fisico, nelle parentesi che ogni tanto riesco a infilare nella vita di ogni giorno, ‘rubando’ spazi agli impegni quotidiani per rigenerarmi mentre ripasso con la mente i nuovi fatti che ogni giornata impone di affrontare.

Eccomi in una giornata di fine aprile, un pomeriggio di cielo limpido e luce intensa che si riversa nelle dolci vallate che mostrano quasi con orgoglio i raccolti dell’anno, granoturco, patate e frumento ormai quasi pronti per la raccolta.

I colori tersi e puliti della campagna invitano l’anima ad elevarsi, il pensiero spazia in libertà fra le emozioni fresche e pure nel dolce e caldo sole di un piacevole pomeriggio di libertà.
La fatica mi fa compagnia mentre pedalo in salita, i tremila metri e passa di altitudine si fanno sentire. Passo vicino a un campesino, chino sulla terra secca e riarsa dal sole. Provo grande gioia nel trovarmi immerso in un percorso che si snoda fra le onde del mare di biondeggianti spighe accarezzate dal vento e quasi pronte per la mietitura. Riaffiorano in me pensieri e ricordi dei tempi passati, di tante persone che sono state buone con me.
Sento il cuore alleggerito, avvertire in questa natura e in me la presenza docile di Dio dona al mio spirito un salutare benessere.

Per questa gente semplice provo stima e simpatia, che mi inducono a fermarmi e scendere dalla bicicletta per salutare il contadino e la sua famiglia. Con lui, che si chiama Felix, scambio qualche parola in quechua sul suo raccolto. Stringo le sue mani, sono le mani callose e forti di chi conosce il duro lavoro quotidiano, necessario per strappare alla terra un prodotto sempre incerto.

Nella tasca della maglia ho una pera, la offro alla sua bambina di cinque anni seduta all’ombra di un albero con la sua mamma. La piccola accetta quasi incredula il frutto dallo sconosciuto, come un regalo inatteso, e abbozza un timido ringraziamento. La famigliola è riunita per estrarre dalla terra calda le patate, che sono cotte come se venissero tolte dal forno.

Mi offrono le patate così preparate per il loro pranzo, e le gusto più di quanto avrei fatto con il frutto se lo avessi mangiato in solitudine. Condividiamo così un sereno momento di ristoro, per il quale ringrazio prima di tornare in sella, sempre accompagnato dai miei pensieri.

Chi lavora e vive con semplicità sa sempre regalarmi grandi emozioni. Ma per contrasto non riesco a non pensare alle guerre, alle armi cui vengono riservate risorse sempre più ingenti, sottratte dai potenti alla lotta contro la fame di tanti poveri del mondo. Ma pedalando cerco di scacciare queste considerazioni dolorose, condividendo invece nel pensiero la gioia che starà provando la piccola cui ho regalato la pera, nello scoprire un sapore fin qui a lei sconosciuto.

Per questi poveri senza voce, condannati alla rassegnazione e privi di alternative all’accontentarsi del minimo indispensabile per sopravvivere, non esiste la prospettiva di un futuro migliore. Il prossimo anni si ricomincerà come sempre a sperare nella clemenza del tempo che porti pioggia sufficiente per la nuova semina, evitando grandinate e gelate. Un ciclo che si ripete senza fine. Ma la vita semplice è quella che avvicina a Dio.

Ho ripreso a pedalare, il paesaggio che vedo intorno a me evoca quello della terra biblica, e insieme fa riaffiorare pensieri e pure emozioni del mio passato personale riportandomi a quando, bambino a fianco di mio padre, attraversavo i campi di grano maturo con i rossi papaveri e gli azzurri fiordalisi, mentre si formavano i covoni da portare in cortile per passarli al ‘macchinone’, come chiamavamo la grande trebbiatrice. Le immagini nitide che conservo nella memoria sono quelle dei contadini della mia terra, uomini e donne piegati con il cappello di paglia in testa e il falcetto in mano, che cantavano contenti mentre tagliavano le spighe sotto il sole cocente di giugno.

Pedalando torno al presente, riassumendo nella mia mente i fatti che negli ultimi tempi hanno impegnato la Fondazione e le persone che sono state con noi negli ultimi tempi. Come il medico volontario Mattia, giovane di Trento che è rimasto con noi per un mese e tornando a casa chissà quali impressioni ha portato via con sé su questa gente e sul nostro operato. E come il documentarista Luigi Baldelli, che ha da poco concluso il suo terzo soggiorno con noi ad Anzaldo, per fissare nelle immagini quello che dovrebbe diventare un aggiornamento del nostro impegno in questa terra. Con Luigi abbiamo visitato i posto più lontani, dai quali provengono i più poveri fra i pazienti che cercano il nostro aiuto. Abbiamo convenuto che ancora oggi l’ospedale resta un punto di riferimento strategico per le emergenze, essendo il primo presidio chirurgico che si trova in un territorio vasto e impervio; la sua importanza si manifesta ogni volta che riusciamo ancora a salvare una vita o anche ad alleviare la sofferenza di chi non può arrivare in città. Vengono raccolte diverse testimonianze di chi è arrivato da noi guidato dalla disperazione e ha benedetto la sorte di aver trovato aiuto nel nostro ospedale. Queste conferme rafforzano la nostra motivazione e indicano che dobbiamo continuare sulla strada imboccata tanti anni fa.

Baldelli mi chiede: ‘Dopo 38 anni di ininterrotto lavoro in questa terra, rifaresti lo stesso percorso? Qual è il motore che ti spinge a continuare?’.
La mia risposta fermamente convinta si basa sulla fede nella Provvidenza che mi ha ispirato a raccogliere senza incertezze tante sfide. Siamo strumenti dell’azione di Dio, a Lui dobbiamo tutto, è la Sua azione che ci ha condotto in questi luoghi e che ci ispira a lavorare nel nome della vita umana.

Sapersi donare agli altri rafforza il senso della nostra esistenza, dà pienezza alla vita di ciascuno; di noi resterà solo il bene che si riesce a dare al prossimo, superando i propri limiti nei piccoli o grandi gesti quotidiani.
La strada scorre con maggiore fluidità sotto le ruote ora che ho trovato un po’ di discesa. Ora penso a Davide, un altro volontario passato di qua, atleta di ferro capace di correre una maratona. Da tempo è tornato al suo lavoro ma non si è dimenticato di noi, e ad ogni edizione della Maratona di Milano riunisce un centinaio di partecipanti con la maglietta della nostra Fondazione.

Mi avvicino al rientro, e il pensiero torna agli ammalati che mi attendono in Ospedale. C’è Angelina, affetta da un batterio resistente a quasi tutti gli antibiotici da noi conosciuti, c’è Aurora cui un paio d’anni fa è stato scoperto un tumore a un piede che la fa soffrire e le impedisce di muoversi. Qui in Bolivia le è stata prospettata l’amputazione, ma con l’aiuto di specialisti italiani speriamo di evitarla. I patologi in Italia concordano nel diagnosticare un tumore benigno a lenta crescita e curabile. Per questo stiamo cercando un oncologo clinico che ci orienti sulla terapia da avviare.

Affretto la pedalata mentre penso alla prossima settimana, quando nel capoluogo provinciale Cochabamba verrà presentata l’edizione spagnola del libro ‘El gringo loco’. L’idea è far conoscere il libro, senza accampare grandi meriti… Con l’umiltà e la semplicità della famiglia di Felix, incontrata durante una piacevole pedalata nel pomeriggio che mi ha rinfrancato nei muscoli e nello spirito, confermandomi nella felice determinazione di continuare nel mio impegno.

Dott. Pietro Gamba

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