Trent’anni di impiego medico in Anzaldo

1 Giugno 2016

Carissimi amici,

eccomi dopo le emozioni vissute nella festa del trentesimo dell’Ospedale di Anzaldo da poco passata.

Antonio e Dario, venuti dall’Italia per celebrare con noi, sono appena rientrati, e, Antonio Dalla Pozza e l’amico Adriano, ripartiranno la prossima settimana per Vicenza dove si è da poco costituito un nuovo gruppo di appoggio.

Ora qui siamo rientrati nella normale quotidianità.

Sono stati giorni intensi soprattutto per Margarita, mia moglie, che si è assunta la preparazione dei dettagli dell’evento e degli inviti per i trent’anni da celebrare come un evento straordinario. Con la riunione pubblica, abbiamo invitato il paese di Anzaldo e allargato l’invito alle persone meritorie che qui hanno lavorato e hanno fatto storia con noi.

Giudico, a festa terminata, che il momento meritava tutto lo sforzo richiesto perché ci ha permesso di riflettere insieme alla popolazione dove e come stiamo andando.

In tutti questi anni trascorsi qui, sono stati tanti i momenti vissuti, caratterizzati dalla tensione di fare bene, di cercare il meglio e superare gli errori per far uscire il miglior servizio per coloro che, arrivando da lontano, cercano in noi una risposta ai loro mali riponendoci grande fiducia che si trasforma in noi come alimento e sprone per fare meglio e bene.

La festa è stata un bagno di riconoscimenti pubblici. A livello locale il consiglio comunale si è manifestato con una serie di riconoscimenti al nostro personale; il Segretario Generale del Sindacato dei campesinos locale, ha elogiato la nostra presenza continua e senza interruzioni in questi tanti anni, rimanendo sul posto attenti ai bisogni delle persone più bisognose e povere.

 Il sindaco Ruben, amico fin dai primi giorni, ha chiuso con ricordi vissuti e tanta emotività, calore e amicizia, e mi ha fatto dono del “poncho” e cappello “campesino”, gli stessi che mi aveva regalato in atto pubblico agli inizi al mio compleanno, trent’anni fa, dicendo che ora sono un po’ consumati.

La sorpresa è stata la pubblicazione dell’evento sulla stampa di Cochabamba e un riconoscimento governativo arrivato dalla capitale insieme alla presenza del Collegio Medico Nazionale.

Insomma è stato un susseguirsi di tante emozioni e di belle sorprese inattese!

Nel mio discorso ho cercato di ricordare i primi tempi, quando, con l’infermiera Aurea, si attendevano i parti restando al fianco del dolore della partoriente, rimanendogli vicino anche tutta la notte. Ho riconosciuto il lavoro di tante persone professionali passate da qui, delle infermiere, medici, biochimiche e chirurghi.

La richiesta speciale della benedizione del Signore per noi e per tutte queste persone ricordate e per i tanti benefattori, l’abbiamo voluta dall’inizio del mattino, con l’apertura della commemorazione perché il Signore, superiore di tutti, rimanga con noi. La messa del mattino, iniziata con il vangelo della Pentecoste, ha trasmesso lo Spirito che infocava gli apostoli, quando, pieni di paure e riuniti senza slancio e mete, sono stati animati a parlare con lingue a loro sconosciute e a culture diverse e distanti tra loro. Questo è stato il vangelo applicato a noi che veniamo dall’Italia, lontani da queste storie, da questa lingua e cultura, che ci avviciniamo per vedere e assistere ai miracoli e ai risultati di questa intesa in corso. Il Signore, nella messa celebrata da don Sergio, si è fatto sentire a noi vicino e abbiamo chiesto a Lui di esserci vicino e di aiutarci ad amare quanti avranno bisogno di noi. Sotto i portici dell’Ospedale, Margarita ha esposto i nomi dei benefattori con un sincero GRAZIE per l’appoggio donato a noi da lontano in questi anni e ai quali dobbiamo tanto per l’aiuto dato

La speranza è che possano venire nuove persone con fedeltà all’insegnamento del Vangelo per migliorare e continuare l’impegno avviato.

Anche qui la lotta è sempre contro i nostri limiti di stanchezza per credere che è il Signore a compiere azioni a noi impossibili.

Quando parliamo male di altri lasciamo intravedere che noi vogliamo essere, più di loro, più di altri, senza invece estirpare in noi mali difficili che non riusciamo a sradicare.

Il bello di tutto è saper leggere e interpretare quei piccoli gesti di amore che ci meravigliano nelle nostre giornate. Sono piccole cose che acquistano una dimensione gigantesca per l’effetto che sanno produrre in noi e negli altri. Il bene non siamo noi a costruirlo, ma è fatto di disponibilità, affetto, serenità e attenzione a colui che arriva dandoci la sua confidenza, per credere che è possibile cambiare qualcosa in noi quando ci rivolgiamo alle persone con la migliore attenzione e disponibilità.

Difficile da spiegare e facile da sentire e provare interiormente.

Guardare negli occhi colui che hai di fronte, fare tua la sua sofferenza, pensare alla sua fatica, al suo dolore per soffermarsi e dare il tuo tempo con dedizione e amore, senza appesantimenti… questa diventa un’opera di Misericordia! Questo è un atteggiamento possibile e che ci cambia dentro!

È questo l’aiuto che l’altro ci chiede quando si avvicina.

È questo l’aiuto che ci migliora!

È questo che ci eleva dando a noi il senso pieno del dovere compiuto e che cambia un poco il mondo e il tempo dove viviamo.

Trent’anni passati qui li ho compiuti. Sono stati un dono grande che il Signore mi ha voluto regalare attorniato da quanto è cresciuto in questo posto e insieme alla mia famiglia.

Quello che ho davanti non lo so, ma certamente con Lui vicino, il passo e la strada la sento più leggera e più colorata di emozioni e di significato.

Un forte abbraccio.
Pietro e famiglia a voi vicini.

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