Campagna pap-test in Anzaldo

8 Settembre 2021

Nel mese scorso abbiamo promosso ad Anzaldo una campagna per la prevenzione del cancro al collo dell’utero, che si concluderà a metà ottobre. Un’iniziativa presa senza fare troppi calcoli e senza badare a possibili critiche o alle difficoltà che si possono presentare, insomma con il sano coraggio di chi vuole riassaporare il gusto di lanciarsi in una nuova sfida.

Noi facciamo medicina ospedaliera, la prevenzione sul territorio compete all’apparato statale. Quello che mi ha motivato a fare questa ‘invasione di campo’ sono i volti, il pianto e il senso di abbandono delle giovani madri che vengono in consultorio dalle varie zone del nostro territorio. Quando un medico si trova davanti una mamma di quattro o più figli, e le deve comunicare di aver trovato un cancro inoperabile che minaccia di non darle scampo, l’unica tenue speranza che rimane è indirizzare la povera donna agli specialisti oncologi del capoluogo, perché programmino una terapia articolata con cistostomia, colonstomia, chemioterapia o radioterapia.

Si tratta di procedimenti costosi, ardui da sostenere per una persona povera che non ha nemmeno la prospettiva realistica di poter recuperare le forze necessarie per tornare a sostenere le tante pesanti mansioni affidate alle donne. In queste condizioni, alle giovani ammalate sembra di sottrarre risorse al sostentamento della famiglia, sembra che a loro non resti che arrendersi. Sembra loro di trovarsi davanti una strada senza uscita, e di non poter fare altro che avviare la terapia del dolore.

Sono tristi realtà che stringono il cuore e inducono a chiedersi se davvero non si può fare niente.

Solo negli ultimi mesi in ospedale abbiamo conosciuto almeno mezza dozzina di donne affette da un cancro terminale dell’utero, giovani donne alcune delle quali già hanno perso la vita lasciando piccoli orfani con un futuro precario.

Ecco ciò che ha innescato la mia reazione, immediata e senza troppi calcoli. Una decisione mirata a colmare il vuoto lasciato dai programmi ministeriali per la prevenzione del cancro uterino, che esistono ma restano sulla carta o sono mal condotti, con effetti inesistenti o quanto meno insufficienti. Abbiamo chiesto a donne cui è stato diagnosticato un cancro già avanzato se avessero sostenuto controlli; tutte hanno risposto di essere state sottoposte a un prelievo, cui non ha mai fatto seguito nessun responso, né una successiva verifica. L’ulteriore ostacolo è che la consapevolezza del pericolo non ha ancor fatto breccia nella mentalità della popolazione.

Sono ormai radicato in questo paese, e non potevo più assistere in silenzio al pianto di intere famiglie abbandonate in balìa di questa tragedia; questo mi ha imposto di prendere la decisione di dare un piccolo contributo. Naturalmente con il contributo di mia moglie Margarita, biochimica che da tanti anni pratica la citologia e sa riconoscere le cellule sospette nelle strisciate sul vetrino del microscopio. A Margarita manca poco per ottenere il riconoscimento ufficiale di citologa, ma più dei titoli vale la sostanza, non si fanno certo danni con azioni volte a salvare vite, lasciando da parte formalità, protocolli e norme che creano ingiustificati intralci. Con l’aiuto del personale del nostro ospedale, ci siamo organizzati suddividendoci i diversi compiti.

Abbiamo suddiviso il paese in otto aree, a ognuna delle quali è stato assegnato un periodo. Il personale da noi incaricato sta passando nei rioni di turno al fine di sensibilizzare e spiegare, nella lingua locale e in termini semplici, il valore della prevenzione e i rischi che comporta questa patologia.

Tutto questo con l’obiettivo di non arrivare troppo tardi nella diagnosi del cancro innescato, una vera bomba a orologeria destinata a esplodere se non viene disinnescata per tempo. Alle donne viene spiegato che se si attendono i sintomi, il dolore e la perdita di sangue per consultare un medico e farsi visitare, è già troppo tardi. In questo caso la sofferenza coinvolge anche il medico, che non può certo restare indifferente davanti a questa tragica realtà.

Le nuove tecnologie ci forniscono un notevole progresso nella capacità di identificare il tipo di virus del papilloma umano responsabile del cancro del collo dell’utero. Basta un semplice prelievo, e i casi sospetti vengono analizzati a Cochabamba, assicurando una precisa diagnosi precoce con l’identificazione del tipo 16-18 del virus del papilloma umano coinvolto direttamente con questa patologia. Gli anatomo-patologi di Cochabamba, DR. Acosta e dr. Gonzales,  hanno  concesso il loro contributo per la campagna, analizzando gratuitamente i casi che gli verranno sottoposti.

Il nostro intento non è certo quello di mostrarci migliori dei programmi sanitari statali, che comunque fanno scarsa presa sulla popolazione locale a causa della loro insufficiente efficacia pratica. L’azione da noi intrapresa nasce dalla sincera volontà di servire la popolazione locale, anche smuovendo la sua coscienza e sollevando interrogativi sui programmi di prevenzione che esistono sulla carta ma non incidono sulla realtà perché non sono conosciuti e valorizzati. Abbiamo avviato questa campagna nella speranza di ripeterla ogni anno e farne in futuro un appuntamento fisso, una nuova tradizione di Anzaldo. Se con questa azione preventiva riusciremo a salvare la vita anche di una sola donna, avremo già raggiunto un risultato concreto, e magari nel frattempo faremo breccia nella consapevolezza della popolazione: ecco il duplice obiettivo di questa iniziativa intrapresa come parte del nostro dovere.

Pietro Gamba

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