Escursione al Rio Caine

17 Marzo 2014

Domenica scorsa (16.3.2014 ndr) mi trovavo con Giulia, Silvia mia figlia e altri di Anzaldo e durante un’escursione al Rio Caine, in zone della nostra area ma a me ancora sconosciute, scendendo dalle alte montagne che avevamo raggiunto, ci siamo imbattuti in un torrente che impediva il nostro cammino e, ascoltando la guida che poi si è rivelata essere non una buona guida, non siamo riusciti a raggiungere il luogo dove Macchi mia moglie, ci aspettava con l’ambulanza.
Io sono andato avanti per cercare soccorsi ma, vista la pericolosità dei posti con passaggi rocciosi impraticabili e scoscesi scavati dall’acqua del torrente e creati attraverso gli anni, con il sopraggiungere della sera, non ho più potuto proseguire.
I rischi costanti, la stanchezza e la pericolosità della situazione creatasi, mi hanno fatto procedere con prudenza e ricercare lungo il fiume un rifugio dove pernottare.

Non potevo comunicare con il resto del gruppo rimasto indietro perché il cellulare non prendeva, e attendevo il giorno affinché qualcuno allarmato dal non vederci comparire, venisse a darci una mano per uscire da quel posto. Mi hanno trovato all’una e mezza del mattino, riparato sotto una grotta alta a lato del fiume e un po´ infreddolito per non aver con me vestiti. E’ stata una sfida di sopravvivenza in posti dove il puma è di casa e dove ogni anno questi sacrifica parecchi vitelli. I luoghi sono comunque meravigliosi e, senza volerlo, abbiamo messo in moto preoccupazione e spavento a coloro che ci aspettavano, compresi la mia famiglia e il personale dell’Ospedale.

Volevo scrivere qualcosa dell’avventura di domenica scorsa; ci provo ricavando un po’ di tempo dalle occupazioni.
Per scrivere in profondità occorre introspezione, sentire il giorno giusto e sapere a chi rivolgersi, perché se diventa un obbligo si sente la forzatura e non si riesce a cogliere il succo da trasmettere nel suo significato migliore.
Non mi addentro nel dettaglio di come sia andata la giornata per arrivare alla fine e ritrovarmi “arreso e obbligato a fermarmi” senza possibilità di altra scelta e miglior soluzione.
E ho pensato che poteva essere una “opportunità” quella di ritrovarmi, e rivedermi dentro, per dare senso all’incomoda fermata; insomma approfittarne per un personale ritiro.
La mente mi induce alla prudenza: prima di ogni altra decisione occorre analizzare in dettaglio e fare il punto della situazione per cercare possibili vie di uscita e possibilità che esige il desiderio di una risposta per ottenere una serenità almeno composta in una situazione imprevista, che potenzialmente potrebbe portare anche ad altre complicazioni.

Essendo prossima la notte, tornare indietro per unirmi al gruppo rimasto dietro di me, significava disporre di un paio di ore per risalire il fiume, lo stesso percorso fatto in discesa con vari difficili passaggi rischiosi con un percorso impervio di notte, appesantito oltretutto dalla stanchezza dopo una marcia di 12 ore passate senza disporre di una pila, senza comunicazione e nessuna possibilità di accendere un fuoco.
Mi ritrovo con il cellulare e la macchina fotografica; la distanza per segnalare la mia presenza nel fondo del fiume è troppa per pensare a un tentativo con successo!
Andare avanti è un’altra idea che prendo in considerazione e mi chiedo quanto può essere lungo il percorso per uscire dalle cataratte del fiume.
Penso ci voglia certamente meno tempo di quanto me ne servirebbe per tornare indietro. Quindi proseguo ma il problema che mi si presenta è che il prossimo passaggio che il fiume in discesa impone è per me impraticabile e troppo rischioso; le poche scalate o rischi che ho corso facendo roccia da giovane, hanno lasciato in me la paura di affrontare un rischio del genere e quindi ho pensato che era meglio desistere dall’impresa. Una scivolata sulle rocce potrebbe portare danni irreparabili!
Quindi mi ritrovo, come risultato finale, che non ho la possibilità né di andare avanti né indietro.
La prudenza impone chiaramente che l’unica possibilità che ho è quella di fermarmi in quel posto inospitale, con la speranza che qualcuno venga a soccorrermi e togliermi da questo problema.
Questo significa che una sosta forzata è la miglior soluzione.
Per essere prudente, devo considerare che il fiume dove mi trovo, in caso di piogge notturne, scarica molta acqua a monte; potrei essere sorpreso da una piena del fiume senza possibilità di scampo.
Mi arrampico sul fianco roccioso del fiume per cinque o sei metri e quindi raggiungo una rientranza scavata naturalmente, che fa anche da tetto.
Questa grotta naturale diventa così il mio giaciglio.
Sento più sotto il rumore del fiume che scorre rumoroso; gli uccelli e altri animali emettono suoni comunicativi ma a me nuovi, sconosciuti che non si sentono nel mio habitat naturale di pappagalli.
Qui c’è anche il puma che la fa da padrone.
Mi diceva il “campesino” che ci accompagnava, che lo scorso anno, il puma ha divorato circa trenta vitelli che vivevano sul monte allo stato brado.

Emetto un urlo di richiamo che si mischia al rumore del fiume e si disperde senza eco e senza speranza che torni con una risposta.
Per proteggermi un po’ dal freddo che si fa sentire rimanendo fermo, mi tolgo i pantaloni bagnati e macerati nelle pozze d’acqua incontrate discendendo il fiume.
Resto così, accovacciato, respirando e tentando di riscaldarmi con il mio alito caldo.
Ho solo la camicia come unico indumento per coprirmi durante la notte.
Il freddo si fa più intenso ogniqualvolta nel mio improvvisato giaciglio arriva un brezza leggera di vento.
La posizione non è comoda; non riesco a distendermi, se mi giro male posso scivolare in basso con conseguenze che non voglio neppure immaginare; cerco di mantenere la posizione fetale per non disperdere calore e mi raccolgo così nel profondo dell’anima.
Se mi comparisse un puma davanti, l’unica idea che mi viene è quella di fargli una foto; il flash della macchina fotografica lo potrebbe spaventare inducendolo a fuggire.
E poi… pazienza… pensiamo ad altro.

Cerco di immaginare quante ore devo restare in questo posto di posizione incomoda, prima che arrivi il giorno e, calcolo, che ci possano essere circa 12 ore di sopravvivenza.
Ricordo che mio padre, quando mi raccontava delle sue guardie notturne a S.Tropez in Costa Azzurra, mi diceva che doveva stare sveglio in piedi parecchie ore, quindi si appoggiava ad una pianta, guardando il mare per poter dare l’allarme dell’ipotetico sbarco degli americani che invece hanno scelto la Normandia per entrare in Francia.
E’ la prima volta, nella mia vita, in sessant’anni, che mi trovo ad affrontare una notte dove devo resistere sentendo lo scorrere lento del tempo che sembra non passare mai e dove ogni cinque minuti controllo l’orologio che sembra bloccato.

Avvio il rosario, la preghiera dei poveri; come lo sento importante in questo momento, quando diventa un sostegno! Ad ogni ave Maria sento vicina la Sua Volontà.
In quella situazione ogni cosa si rimpicciolisce e ogni lotta diventa senza importanza, nessun desiderio normale, nessuna cosa di ogni giorno!
Si ingigantiscono altre cose, come la Famiglia, gli Amici e quanto fatto di bello nel Dono della vita che vedi piano piano fragile e con il limite che un giorno finirà!
E’ un flash importante quello che sento respirare dentro di me, un flash che farebbe arrestare il puma con appetiti su di me.
Come una voce che mi dice nel raccoglimento: “a cosa serve possedere, a cosa serve affannarsi con tante lotte, se poi non sei tu il padrone della tua vita?”
Oppure, come diceva papa Giovanni: “restiamo qui un po’… e poi passiamo! Le persone più care si presentano; a loro dedico un’Ave Maria che è anche un mio modo di ricordarle al Signore”.

Mi ritorna alla mente l’inizio della mia scelta come la stessa promessa scritta, riapparsa nell’ultima lettera pubblicata sul sito e diretta a don Capelli: “ambisco però a servire il Signore come Lui mi fa conoscere… se non si è aperti a questo perfezionamento continuato, si delude se stessi, il Signore e gli altri”.
Quindi, anche oggi in questa situazione e dopo tutti questi anni di cammino, non ho altra ambizione che “Servire il Signore come lui vuole e fa conoscere”. Sembra questo il senso che emerge da questa sosta forzata.
Penso ai tanti, conosciuti e non, che all’arrivo di un’improvvisa malattia che si presenta come sorpresa sgradita, non riescono ad accettare il momento e non riescono a dare un miglior senso alla fine, abbandonandosi alla disperazione, all’abbandono, al silenzio, chiudendosi senza comprendere l’importanza degli ultimi giorni.
In momenti simili, diventa chiara l’inutilità delle divisioni, dei rancori, dell’inutile separazione e distacco che vivono molte persone che si vedono ogni giorno, ma che non riescono a cambiare la pesante situazione del silenzio.

Far prevalere la propria ragione per “averla vinta” diventa un prezzo troppo alto da pagare e non vale la pena.
Voler castigare gli altri, diventa il nostro castigo, ed espressione del nostro male per non essere stati capaci del primo passo che è sempre di comprensione, di perdono.
Nel momento finale della vita, tutto questo appare inutile!
E quanto invece importante riemerge, essere stati fedeli al Signore operando il Bene e gioendo, quando riusciamo a parlare di Lui con gioia, entusiasmo, Fede e servizio, nel seguirlo come suoi apostoli.
Donando si riceve, donando si raccoglie, donando è meglio che usare solo parole per convincere, con i fatti diveniamo credibili e Suoi seguaci!
Mi chiedo se queste mie “illuminazioni” siano state provocate dalla paura!
Mentre sotto di me il fiume rumoreggia senza sosta, ora vedo la luna spuntare e le prime stelle che mi rincuorano come un buon segno che dice che sarà una notte senza pioggia.
Anche se mi sento a rischio, lontano e senza notizie del gruppo rimasto indietro che ho voluto aiutare cercando di portarlo fuori con soccorsi da cercare, anche se i muscoli si raffreddano in questa posizione scomoda che non mi permette di dormire nonostante la stanchezza sia tanta e che con ragione si fa sentire.
Sento il cuore calmo e sereno, penso che domani mattina qualcuno verrà in mio aiuto e sarà un altro giorno…
Assaporo il dolce gusto di “ritrovarmi” a parlare da solo in preghiera spontanea e bisognosa con il mio Signore.
Non gli chiedo grazie speciali; mi torna alla mente la barzelletta dell’impaurito che di fronte al leone che gli concede un’ultima preghiera, questi recita: “Signore ispira a questa bestia sentimenti cristiani”.

All’improvviso sento un botto; un segno di vita nel silenzio.
Immagino sia Ruben che è rimasto indietro con il gruppo e porta con sé il fucile; immagino sia l’allarme per i soccorritori e per chi ci attende a valle del fiume.
Guardo l’orologio, sono circa le 22; mancano ancora molte ore perché sia mattino.
Mi rigiro sulla pietra ma non è come quando cerchi la comodità in un morbido letto!
E penso a Martin, il povero del paese che varie volte abbiamo visto dormire all’entrata dell’Emergenza dell’Ospedale, seduto sul freddo pavimento, accovacciato e coperto solo dal “poncho” quando le notti dell’inverno sono fredde e la temperatura arriva anche sotto lo zero gradi, e lui rifiuta ogni altra offerta di accomodamento.
All’improvviso un’altro forte sparo, stavolta lo sento non davanti a me come prima mi sembrava aver sentito, ma lo identifico dietro di me, cioè nella direzione in cui dovrebbe trovarsi il gruppo, rimasto indietro.

Non capisco; lo capirò dopo, circa quattro ore dopo, quando i soccorritori mi hanno raggiunto spiegandomi che i colpi non erano del fucile di Ruben ma erano i petardi fatti da loro scoppiare come segnali per il ritrovamento del gruppo dopo aver visto il fuoco da loro acceso.
Verso l’una e mezza del mattino, dal fondo del fiume compare una luce, sembra la luce di una pila, poi un’altra insieme a delle voci.
E’ un momento di gioia inatteso.
Mi hanno ritrovato e presto tutto si chiarisce in un abbraccio forte che fa terminare la paura di tutti e ci fa gioire per il ricongiungimento.
La discesa nel fiume, anche al chiaro di luna, diventa vera sorpresa di vedere i giovani del posto venuti a soccorrerci, affrontando la situazione come fosse gioco adottando abili peripezie mai pensate per superare gli ostacoli e ogni difficoltà.
Diventa piacere stare con loro e farsi guidare per giungere poi velocemente a raccontare l’avventura a chi ci stava aspettando.
Per non aver potuto comunicare per qualche ora notturna, la nostra stessa sofferenza si è trasformata in attesa pesante di presentimenti ma fortunatamente poi tutto si è trasformato in una piccola avventura di sopravvivenza!

Pietro

Altri Racconti

Auguri di Buona Pasqua 2024
Auguri di Buona Pasqua 2024

Il dottor Pietro Gamba e la sua famiglia augurano a tutti una Buona Pasqua, ringraziando al tempo stesso coloro che hann...

Solidarietà a confronto
Solidarietà a confronto

Due racconti di solidarietà a confronto: la comprensione del lavoro e della fatica del campesino attraverso la cura del...

Viaggio in Italia 2023
Viaggio in Italia 2023

Dopo le tre settimane del mio viaggio di quest’anno in Italia, desidero condividere le emozioni che mi hanno ricaricat...

Bottom Image