Inizio ad essere medico

13 Novembre 2017

“Silvia, portate bien”, con queste parole é iniziata la mia prima guardia medica all’ospedale di Anzaldo, non molto tempo fa, mentre salutavo in Aeroporto mio papá che si dirigeva ad un congresso di Anestesiologia a Coroico in compagnia di mia mamma.

Accanto a lui le sue care amiche anestesiste che scherzando mi augurano di divertirmi ad Anzaldo.

Non ero nervosa come avrei pensato per restare incaricata dell’ospedale, in fondo ero in compagnia del dott. Antoine e delle infermiere, una delle quali, Anita, mi conosce fin da prima di aver iniziato a studiare medicina. Mi sentivo a casa e tranquilla.

Ricordo di quei giorni, le ore trascorse in ambulatorio, ascoltando sopratutto, pazienti che arrivano da molto lontano, viaggi che possono superare giorni per poter arrivare fino ad Anzaldo, alcuni sono fedeli pazienti da anni, altri arrivano per la prima volta, perchè hanno sentito parlare dell’ospedale, sembra che qui si trovi una cura miracolosa, con farmaci italiani, medici stranieri che sanno di più, cosí dicono loro.

A volte ascoltarli è la cura. Sentono che in altri ospedali non ascoltano veramente i loro problemi, oppure i medici non hanno la pazienza sufficiente per spiegare loro la diagnosi, e i pazienti non riescono a capirli, dicono: “mi hanno dato questo fármaco per un mese e basta, non sapevo che per la diabete devo prenderlo continuamente”.

Peró, la trascorsa settimana, mi ritrovavo di nuovo in sostituzione di mio papá, venerdí 26 ottobre a mezzogiorno, arriva un paziente in ambulatorio e le infermiere mi dicono che si é ustionato la mano con fuoco, data la mia poca ma valida esperienza in ustioni per aver imparato dal Dott. Romero (Primario del reparto di ustioni pediatriche a Cochabamba), pensavo che avrei potuto fare le prime cure, ma domando: quando si é ustionato? L’infermiera mi risponde: dice tre settimane fa.

Quella risposta mi cambia il panorama. Mi domando: ma come ha potuto resistere tanto? Portiamolo súbito in emergenza per vedere la ferita.

Mi ritrovo un ragazzo di 24 anni, quasi della mia stessa etá, il volto in basso, oscuro per il lavoro sotto il sole, silenzioso. Accanto a lui c’è la mamma e il papà, persone umili, si vede per i vestiti che indossano, per la maniera in cui restano in piedi, accucciati. Arrivano dal nord potosí, considerata una delle zone piú povere della Bolivia. Per me, che arrivino da quelle zone é sinónimo di case di fango, alimentazione scarsa, pochi soldi, ed una forte impronta culturale, che crede ancora nella guarigione delle ferite per conto propio oppure nella morte.

Sbendiamo la ferita, che ha un odore putrefatto, ed infatti, ci ritroviamo con una necrosi sul dorso della mano, nera, carbonizzata, che comprometteva tutte le dita tranne il police.

Gli ho detto del bisogno di varie chirurgie per poter salvare il piú possibile la mano, non mi ha domandato niente, tranne quanto costavano le cure. Non sapevo il prezzo, pensando ai costi reali a Cochabamba, gli ho detto che costa molto, la mamma si é messa a piangere, penso che sia stata lei a convincere il figlio di andare in ospedale, lui aveva tentato di suicidarsi prima di far spendere soldi ai suoi genitori.

Gli ho detto di non preocuparsi per i soldi, che il dott. Pietro é buono e sicuramente gli aiuterá.

Esther, la mia tata che continua lavorando come portiera, è l’incaricata di parlare con i pazienti in quechua per convincerli, spiega ai genitori che potranno lavorare un po’ nei giardini attorno all’ospedale e che il dott. Pietro non gli chiederá soldi.

Anche se li abbiamo rassicurati, aspettano di poter parlare con il dott. Pietro al suo rientro.

Non ho perso il tempo, il giorno dopo hanno conosciuto il dott. Pietro insieme al dott. Romero, venuto apposta per Ignacio da Cochabamba. Mentre i dottori che venivano a salvare suo figlio scendevano dalla macchina, il papá di Ignacio stava raccogliendo foglie secche del giardino con tutta la sua energía. Quando é finito l’intervento, ha ringraziato con una stretta di mano quasi reverenziale. Vedere la sfortuna e l’ingiustizia verso questa gente e la tenerezza con cui si affrontano fa scorrere qualche lacrima dal mio viso ma non avevo tempo per pensare molto perché stavo visitando altri due pazienti una bambina di 11 anni, e una ragazza di 23, sopravissute ad un incidente stradale la notte della domenica 23 ottobre.

Quella notte, iniziavo la mia prima guardia medica all’ospedale, mio papá stava per partire a Cochabamba, quando lo chiamano al cellulare, un secondo dopo mi dice: c’é stato un incidente, si é ribaltato un furgone, Hanno provato a telefonare al centro di salute comunale per le ambulanze ma non hanno risposto al cellulare. Prepara le cose.

Ho dato ordine alle infermiere di portare il materiale occorrente e di partire súbito in ambulanza. Mentre uscivamo dal villaggio parlavo con il sindaco con il cellulare chiedendo che fosse lui a incaricarsi di dare l’allarme al suo centro di salute..

Mentre eravamo in strada, incrociamo un furgone che portava giá i primi pazienti, sono tornata indietro con loro verso l’ospedale.

Sul furgone ci comunicano che c’erano due morti sul posto, e molti feriti. Dopo seppi che in totale c’erano 14 persone sul furgone, tutti parenti, di una communitá appartenente ad anzaldo, che tornavano da una gita, sembra che il conduttore fosse ubriaco.

Su quel furgone c’era una mamma con una bimba di 6 anni in braccio, pallida, coperta di terra, che ad un inizio non rispose, poi non smetteva di gridare, aveva sangue nella bocca.

La sua altra bimba di 11 anni, aveva molto dolore alla cintura scapolare, il ragazzo, aveva molto male alla gamba destra.

Dissi di scaricare prima le bimbe, al ragazzo gli disse di non muoversi, che l’avremmo scaricato dopo.

In ospedale iniziavano a muoversi le barrelle verso l’emergenza, ed io andai alla sala di radiologia, avevo imparato dal dott. Saul a fare le radiografie, ma non sapevo la velocitá con cui sarei riuscita a farle.

Mentre facevo le radiografie e stabilizzavamo la piccola, arrivano le ambulanze, io rimasi nella sala di radiologia, fuori sul corridoio c’era molta gente, personale medico del centro di salute comunale e infermiere, tutti aiutano, ho visto anche il sindaco impaurito e triste di fronte alla porta di radiologia.

Nei momenti liberi uscivo, sul corridoio c’era una ragazza di 16 anni di nome Maribel con una evidente frattura alla gamba: poco prima avevo fatto le radiografie alla colonna dorsale a suo fratello, Valerio diagnosticando un compressione vertebrale. Peró, Maribel evidentemente aveva qualcosa in piú: un trauma interno possibilmente, era pallida e la pressione continuava a scendere, mio papá capì subito che aveva bisogno di trasfusioni di sangue ed una chirurgia di emergenza. Purtroppo devo dire che lei non c’è la fatta e ha perso la vita a 20 km da Cochabamba, un viaggio di due ore dove ogni minuto é prezioso e molte volte ha deciso sulla vita di tante persone. Passata mezzanotte siamo rimasti con tre pazienti, il ragazzo che era rimasto sul furgone aveva una frattura alla gamba: si chiama Alvaro, anche lui é il fratello di Valerio e Maribel. Gli ho solo detto, con il tono di voce piú sicuro che ho potuto, che doveva essere forte, che sarebbe guarito. Ho pensato molto alla morte di Maribel, la ragione per cui l’ospedale, la fondazione appoggia in anzaldo é appunto per lei, non dico che sarebbe stata salvata, ma quella notte il chirurgo non c’era. E non c’è il chirurgo fisso da oltre un anno. Perchè nessun chirurgo vuole lavorare in Anzaldo, lontano dalla città e dalle comodità che offre un lavoro statale. Contro cui non si puó competere o ragionare. A nessuno piace lavorare una domenica sera. Tranne a quelli che hanno vocazione. E quella non si puó comprare. Finisco questi pensieri ringraziando mio padre per la fiducia disposta in me durante questo periodo e anche per la possibilitá d’imparare molto piú che la medicina: Imparare umanitá, a fare il meglio possibile, a sentiré ció che sente il paziente, a vivere ció che hanno vissuto prima di arrivare in ospedale, per poter capire e confortare. Si continua sempre con tanta volontá e credendo sempre nella provvidenza, per poter aiutare gli altri attraverso la collaborazione di tante persone dall’italia, ed anche per essere aiutati attraverso le persone che accettano di lavorare nell’ospedale di anzaldo.. Dott.ssa Silvia Gamba

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