L’ossigeno

31 Maggio 2021

Lo squillo del cellulare mi sveglia dopo la mezzanotte. Il paziente Covid-19 con la saturazione di ossigeno nel sangue in picchiata, che avevamo trasferito all’ospedale del capoluogo, è rimasto fuori e l’ossigeno della bombola è esaurito.
Ci chiede aiuto immediato ma non abbiamo idea di come poterlo assistere a distanza. Si tratta del massimo dirigente della Centrale dei campesinos, colui che dirige tutte le comunità della zona di Anzaldo.
A mezzogiorno, insieme alla moglie eravamo riusciti a convincerlo a farsi trasportare in città, dove esiste un Centro di assistenza Covid con terapia intensiva; lui è tra i pochi ad avere una copertura assicurativa.

Ci mettiamo in contatto con il Centro di assistenza, per risolvere l’emergenza, ma ci viene risposto che l’ospedale Covid è già stracolmo e non è possibile ricoverarvi altri contagiati dal virus. Insisto che il paziente sta desaturando paurosamente, vengo messo in contatto con il medico della Terapia Intensiva che mi conosce e, gentilmente, mi risponde che intorno a lui è l’inferno, con tantissimi malcapitati nello stesso stato del mio paziente, e non sa assolutamente che fare.
L’unica è aspettare che si liberi un posto letto per la morte di qualcuno… Sono al punto che non cambiano nemmeno le lenzuola fra un paziente e l’altro, il letto ancora caldo è occupato immediatamente dal primo di quelli che aspettano in sala degenza Covid il loro turno per essere attaccati al respiratore. Quindi al mio paziente non resta che aggiungersi alla lista d’attesa di questi disperati, augurandosi che ce la faccia a restare vivo fino a quando arriverà il suo turno per essere assistito in terapia intensiva.

La bombola d’ossigeno che avevamo assegnato al nostro paziente per il trasferimento si è esaurita quando egli era seduto da ormai otto ore sui gradini davanti all’ingresso dell’ospedale; ora non riesce più a respirare, boccheggia e sta assumendo una colorazione di un bluastro mortale.
Quando è partito da Anzaldo la sua saturazione era sul 60%, e con la mascherina dell’ossigeno non arrivava all’80%. Che fare ora che l’ossigeno è finito?

Noi ci troviamo a un centinaio di chilometri da Cochabamba, non è possibile portargli altro ossigeno. In piena notte fra sabato e domenica è difficile trovare alternative immediate, altri ospedali chiedono fra i dieci e i ventimila dollari per intervenire. L’unica risorsa a cui mi viene in mente di ricorrere sono gli amici che hanno conoscenze in città migliori delle mie, anche se li dovrò svegliare a notte fonda. In questo modo troviamo un conoscente che può avere influenza su un’infermiera del reparto Covid. La moglie del dirigente ammalato è disperata, ma miracolosamente la soluzione arriva: si è trovato un letto per suo marito, non in terapia intensiva ma che assicura comunque accesso all’ossigeno.

Leggo il giornale di oggi. Per tutta la settimana ci sarà impossibile ricaricare le nostre bombole perché il governo ha deciso di dare priorità alle terapie intensive dei servizi pubblici statali, a loro volta in emergenza.
A Cochabamba siamo a un migliaio di contagi giornalieri, sembra che sia la città più colpita della Bolivia. I cimiteri faticano a soddisfare la richiesta di sepolture, i forni crematori pur funzionando a pieno ritmo non riescono a smaltire le salme che si accumulano all’esterno.
Nella mia newsletter di un mese fa ho lanciato un appello per dotare il nostro ospedale di Anzaldo di un impianto di produzione di ossigeno che ci rendesse autonomi, liberandoci dalla dipendenza sempre più precaria dalle forniture provenienti dalla città.
La pandemia per fortuna in Europa sta allentando la presa; ma da noi fa sempre più paura, e ogni giorno ad Anzaldo risuona la campana che annuncia un nuovo decesso in qualche comunità sperduta, un altro campesino che è morto in casa senza che nessuno l’abbia potuto aiutare dandogli una semplice, ma indispensabile boccata d’ossigeno.
Ci sentiamo disarmati come mai era successo prima, quindi il mio appello mi sembra più giustificato e urgente che mai. L’unione di tante persone di buona volontà, l’azione della Provvidenza che non mancherà di aiutarci a trovare in Italia le risorse, l’interessamento e la competenza di persone che ci possano orientare nelle scelte tecniche di un impianto adatto alle nostre necessità e nella sua installazione: ecco quello che chiediamo per raggiungere insieme l’obiettivo.
La pandemia ci sfida e ci stimola a migliorare per affrontare con più organizzazione le incognite che abbiamo davanti: chissà quanti contagi dovremo fronteggiare nel prossimo futuro, dopo l’arrivo del nuovo ceppo brasiliano.

Un grande grazie anticipato a quanti sapranno aderire al nostro appello.


Pietro, Margarita e Collaboratori


In questi video visito una pianta di produzione di ossigeno installata tre settimane fa e nell’intervista riporto la disperazione dei famigliari che cercano di caricare una bombola di ossigeno per portarlo alla casa della loro famiglia.

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