Lidia, la donna malcapitata, e il buon Samaritano

11 Luglio 2022

Bloccato a letto dal Covid (che mi ha contagiato per la prima volta, nonostante tre dosi di vaccino), prendo spunto dalla pagina del Vangelo di domani nel ripensare a quanto è successo in questi ultimi tempi, in particolare alla morte di Lidia, alla sofferenza sua e dei suoi famigliari: un evento che mi ha coinvolto e lascia in me una traccia profonda e anche un insegnamento.

Lidia era una mamma di 18 anni che ha subito le complicazioni di un parto prematuro, dopo il quale accusava dolori a causa di una massa addominale. Gli operatori della struttura sanitaria pubblica, dopo il parto, si sono dedicati al neonato mettendolo nell’incubatrice, dimettendo invece dall’ospedale la giovane puerpera, che si è trovata così abbandonata al proprio destino. Per noi è sempre stato complicato dialogare con le strutture sanitarie statali, che difficilmente accettano di collaborare con ‘estranei’. Così abbiamo trovato per caso questa ‘donna mezza morta’, un po’ come il Samaritano ha trovato per caso l’uomo che i briganti avevano lasciato ‘mezzo morto’ sul ciglio della strada che scende da Gerusalemme a Gerico.

Ci imbattemmo così in Lidia ‘mezza morta’, allo stremo di risorse vitali, disidratata, denutrita, anemica, con poche speranze di sopravvivenza. La caricammo in ambulanza e la ricoverammo al nostro ospedale di Anzaldo. L’immediata diagnosi fu tumore all’ovaio, infetto e diffuso nell’addome. Dopo il primo intervento chirurgico per rimuovere il tumore, altri tre sono stati resi necessari dalla peritonite diffusa, con le complicazioni che sono sopravvenute nel corso della sua degenza in ospedale, durata un mese.

Ma perché assumersi la responsabilità e l’onere di soccorrere una donna ‘mezza morta’, con il rischio concreto che morisse da noi, quando i responsabili della sanità pubblica anziché assisterla l’avevano abbandonata, anziché curarla erano frettolosamente passati oltre? Perché farsi carico, seguendo l’analogia con la parabola evangelica, delle fasciature e dei due denari da spendere per il locandiere?

Il cuore non pensa e non fa calcoli, sente e agisce con compassione: questa mamma di 18 anni aveva due figli che aspettavano il suo ritorno a casa, che avevano bisogno di lei. La compassione imponeva di farsi carico di lei. Il racconto di Lidia ha molto in comune con la parabola del Buon Samaritano, quasi le si sovrappone. Di questa persona che spontaneamente si è fatto carico del malcapitato non conosciamo molto, solo il suo gesto compassionevole, il fermarsi per bendarlo, e poi trasportarlo alla prima locanda versando un anticipo per il ricovero e le cure, con la promessa di tornare per saldare il conto. La stessa umana compassione ci ha portato, una volta conosciuta la situazione di Lidia, a visitarla a casa e a offrirle il ricovero all’ospedale per le cure che sono durate un mese. C’è chi ci ha dato una mano per far quadrare in parte i conti; del resto abbiamo incaricato come sempre la Provvidenza, che ci penserà.

Lidia è stata assistita nella sua lotta per la vita. Molte persone hanno pregato per la sua salute, e le preghiere si sono intensificate quando il pericolo si è fatto incombente. Anche oggi queste persone restano impegnate nella preghiera di suffragio. Lidia ci ha unito in questo gesto di amore, nel tentativo comune di aiutarla a salvarsi la vita, accompagnandola con ogni sforzo, lottando con la paura di non farcela.

Non mi dilungo sui dettagli di quanto è stato fatto per tentare di salvarle la vita, per non fare di queste righe un diario o un riassunto clinico. Per la prima volta in tanti anni di esercizio della professione medica mi sono trasformato in intensivista, aiutato da un medico che lavora in Terapia intensiva e che non conoscevo (un altro buon samaritano?): lui mi ha introdotto all’uso di farmaci che non conoscevo e che per noi sono proibitivi sia per il costo sia per la pericolosità, ma ai quali abbiamo fatto ricorso quando Lidia ci stava lasciando, soccombendo a uno shock settico irreversibile.

Gesù, al dubbioso Fariseo che chiede chi è il suo prossimo, risponde con un semplice racconto che non lascia dubbi: il tuo prossimo è colui che incontri nel momento del bisogno. Per me, come medico, l’impegno maggiore è rivolto alle persone che si trovano fra la vita e la morte; così, come il buon samaritano ha incontrato per caso uno sconosciuto ‘mezzo morto’ sul ciglio della strada e si è fermato per soccorrerlo, anche qui la missione che mi sono assunto da anni rimane quella di sapermi fermare dove altri magari sono passati oltre, senza aiutare il povero bisognoso di cure.
L’Amore per il Prossimo rimane la vetta più alta dei Comandamenti.
Rimane questa la giustificazione della scelta che ho fatto a vent’anni, e che si rinnova ogni volta che si presenta una situazione simile, dando priorità su tutto alla vita del malato.
Dio rimane il mistero più grande della nostra vita, lo sento come un’energia reale ed esistente in noi. Una cosa grande, infinita, che sprigiona amore, una forza potente che si traduce in gioia quando facciamo qualcosa che vale, anche azioni in apparenza piccole, in favore del nostro prossimo. Lì si sente la grande forza che sa sprigionare un’azione dettata dall’amore.

Non siamo riusciti a salvare Lidia, che ci ha lasciati nonostante ogni tentativo di curarla, nonostante non si sia lasciato niente di intentato per conservarle la vita. Il giorno prima di morire ella ci ha regalato il suo canto, che resta nel nostro ricordo come ringraziamento per i nostri sforzi e saluto alla sua giovane vita.
Abbiamo riportato la salma di Lidia a casa, dove l’aspettavano la sua famiglia in lacrime e l’intera comunità.

Abbiamo deposto il suo corpo sulla nuda terra, secondo il rito locale che prevede che sia lavato prima di essere posto nella cassa per la sepoltura.

Nella parabola di Gesù l’uomo soccorso dal Buon Samaritano si riprende. Lidia non ce l’ha fatta, ma ci abbiamo messo tutto l’amore e tutto l’impegno per riuscire a salvarla. Nessuno l’aveva portata da noi, eravamo andati noi a prenderla dove era stata abbandonata in bilico fra la vita e la morte.

Chissà poi se il Samaritano del racconto era ‘buono’, migliore di ciascuno di noi. È stato etichettato da noi con questo aggettivo… Una coincidenza che mi ha sorpreso è che lo stesso aggettivo ‘buono’ l’ha usato Lidia per me, quando dopo l’ultimo disperato intervento all’intestino devastato dalla peritonite ha raccolto le forze per dirmi con un filo di voce (e per capire gliel’ho dovuto far ripetere) ‘tu sei buono’. Queste parole hanno rafforzato in me la determinazione ad aiutarla a vivere. Non si sa, e in fondo non importa, se il samaritano fosse ‘buono’ o meno, quello che conta è che lui si è fermato per l’uomo ‘mezzo morto’ e ha pagato la locanda (un po’ come per noi l’ospedale) per soccorrerlo. Tutti noi, qualunque sia la nostra indole, possiamo imitare il Samaritano; fermarsi ad aiutare il prossimo è sempre possibile, non perché ci dicano che siamo ‘buoni’, ma sotto la spinta della compassione che sgorga spontanea dal cuore. Così la Grazia ci eleva verso il premio che Gesù indica al Fariseo, la vita eterna.

Dott. Pietro Gamba

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