Miki, ovvero il coraggio di vivere

20 Settembre 2011

Luis Miguel è arrivato in Anzaldo novantatre giorni fa e solo ieri sera è stato operato da un chirurgo plastico che gli ha chiuso quelle brutte ulcere da decubito che inutilmente in tutto questo tempo di permanenza in Ospedale sono state curate con l’intento di guarirle senza nessun risultato. Ora il chirurgo plastico dice che gli sforzi erano vanificati e neanche aspettando ancora lunghi tempi sarebbe stato possibile chiudere le ferite, essendo ulcere profonde fino all’osso ischiatico che si vedeva esposto da non permettere la cicatrizzazione.
Luis Miguel in Ospedale è chiamato Miki per abbreviare il suo doppio nome e per simpatizzare con lui in forma famigliare.

E’un giovane di vent’anni, facile al dolce sorriso che regala generoso, appassionato di pallone, aspetti e linee giovanili nel fiore della vita. Giocava nel Wilstermann, una squadra di Cochabamba, un’ ambizione e un sogno di tanti che vorrebbero farne parte della squadra.
Circa tre anni fa, dopo un allenamento allo stadio nella città, attraversando la strada, improvvisamente la tragedia. Un’auto, non vista e apparsa improvvisa ad alta velocità, non dando tempo di capire come arrivasse sul suo corpo, improvvisamente l’ha travolto lasciando il suo corpo sull’asfalto senza che potesse rialzarsi. Qualcuno ha chiamato i soccorsi e Miki non ricorda molto di quella confusione creatasi attorno a lui e dentro di lui. Si è ritrovato in Ospedale della città con fratture multiple, senza sentire le gambe che non si muovevano e non rispondevano a nessun comando e con il braccio sinistro lesionato e fratturato in diverse parti. Racconta di essere stato operato con diversi tentativi per il recupero del braccio sinistro. Sforzi vani quando oggi non controlla gli sfinteri, non sente le gambe che non lo potranno più sostenere né gli permetteranno di giocare una partita a pallone per cercare il gol e non potrà più usare le sue mani. Dei quattro arti si è conservato il braccio e la mano destra per ricominciare a sperare.
I suoi famigliari, venuti a prenderlo alla dimissione dall’Ospedale, si sono trovati la sorpresa delle spese mediche da pagare. Era l’ospedale pubblico di Cochabamba che ha prestato i primi soccorsi per curarlo. L’auto investitrice si è data alla fuga senza lasciare tracce e nessuna assicurazione o previsione è venuta incontro al conto da pagare. La famiglia di Miki si è trovata a mediare nel problema senza contare i già difficili problemi che sopportava, essendo composta, oltre a Miki , da altri sette fratelli tutti più piccoli di lui. Solamente la mamma, dopo la separazione dal marito, è rimasta in forza per farsi carico di tutti. Il padre, letteralmente si è dileguato nel nulla, senza far sapere niente a nessuno; probabilmente portando con lui il vizio dell’alcolsmo, si è trasferito in un’altra città con un’altra donna che poteva sopportare le sue debolezze compresa quella di non sentirsi responsabile dei suoi figli che stanno crescendo. La sua piccola casa alla periferia della città, senza acqua e con un piccolo cortile stretto con tre stanze coperte da lamiera, l’ha lasciata per i bambini che aspettano cibo e vestiti e non sempre puliti per mancanza di acqua. La mamma di Miki è rimasta l’unica contribuente per l’economia famigliare, caricandosi tutti i figli in una responsabilità forte del suo precario lavoro di lavandaia a domicilio nella casa dei ricchi che la pagano circa un euro per una dozzina di capi lavati. Con queste difficoltà la disgrazia di Miguel e il conto dell’Ospedale da sistemare è ancora aperta. Naturalmente Miguel non poteva lasciare l’Ospedale senza pagare e quindi l’unica uscita per la mamma è stata quella di ipotecare la casa alla banca che gli ha prestato i soldi per qualche anno con l’intesa che se non fossero stati rimborsati alla banca nel tempo di questi anni, la casa sarebbe rimasta di proprietà della Banca. Il tempo pattuito sta per scadere e naturalmente la mamma di Miki non ha potuto restituire nulla del prestito concesso dalla banca. Come finale, per rimettere in sesto il figlio dopo l’incidente, la mamma si ritrova dopo i sacrifici dell’ipoteca della casa, una situazione incresciosa perché la casa di Miki dove tutt’ora vivono i suoi fratellini, molto probabilmente, diventerà di proprietà della Banca che tra poco chiederà il pagamento mensile dell’affitto. Una complicazione di maggior difficoltà quasi a colpevolizzare Miki delle difficoltà crescenti della famiglia per colpa sua, quando si ritrova paralitico, senza possibilità di camminare e con il braccio sinistro senza vita che cade penzoloni con una mano rattrappita all’estremo.
Luis Miguel nonostante viva e soffra tutto questo, è sereno. E non spendo parole per convincere nessuno ma questi sono i fatti reali e seri che si vivono restando vicino a lui! Quasi a dire a tutti quanti si lamentano e si scoraggiano della vita, che lui non ha paura, che conserva intatta la sua forza, la stessa che fa intraprendere quel percorso che uno sente suo e che con impegno affronta ogni giorno.
Ha iniziato a dipingere, ha imparato tecniche d’acquarello e pastello, usando l’incisore elettrico e dipingendo sul legno. Ha imparato a tessere, senza inflessioni e senza dare spazio a nessun scoraggiamento. Ha imparato a suonare la zampogna, per dire che la sua devozione profonda alla vita è ancora cantare per quanti sono tristi. E tutto questo riesce a farlo con una sola mano! Ha imparato, o meglio vuole imparare.
Per questo si è iscritto alle scuole speciali di Anzaldo per studiare chimica, fisica, matematica restando nel silenzio del suo letto d’ospedale. Lo vedo oggi con le ferite rivolte in alto perché restino libere dalla compressione del materasso, obbligato a non dormire per la posizione scomoda della pancia in giù per questi primi tre giorni.
Sorride, è affaticato per i muscoli che deve azionare per alzare la testa e le spalle e spostare il corpo. Il suo è un esempio di la vita che affronta in salita e con forza.
Il suo sperare incoraggia lui a credere e noi ad aiutarlo.

Pietro

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