Perché da alcuni viaggi, in un certo senso, non si torna mai

12 Maggio 2017

Raccontare un viaggio non è facile soprattutto quando si deve parlare di un’esperienza personale, non di un semplice viaggio, perché è più quello che si prova e si vive piuttosto di un semplice susseguirsi di fatti o eventi da raccontare. Comunque ci provo, perché la testimonianza di un’esperienza così spero possa suscitare curiosità e interesse ai giovani e meno giovani, medici e non che leggeranno queste poche righe.

Inizia tutto con un’Entamoeba Histolytica. Si esattamente una Etamoeba Histolytica non sicuramente tra i più simpatici parassiti che si possano incontrare, ma che sicuro sotto l’esortazioni di Pietro non ci può fermare più di un giorno! Ecco allora che armati di metronidazolo e dissenten io, il volontario Dott. Saul e Pietro partiamo di buona lena (5 di mattina) alla volta di Challviri, posto da dove tutto è iniziato, da cui deriva la volontà e voglia di Pietro di diventare medico ed impegnarsi qui in Bolivia. Come quindi non andare! Con noi ci sono anche l’infermeria Claudia e un vecchio ma giovane paziente don Gregorio che rientra a casa dopo una frattura complessa di tibia e femore occorsa ben otto mesi fa.

Lasciamo quindi la città e ci dirigiamo verso le montagne. La strada sembra non smettere mai di salire e si inerpica sempre più in alto prima su fondo battuto poi su un percorso che alle nostre latitudini definiremmo più una mulattiera che una strada, ma Pietro ci conferma che qui passano anche camion! Esclusivamente boliviani, si intende. Si continua quindi a salire fino ad incontrare le nuvole, le quali però rimangano lontane dal nostro percorso invogliandoci ad entrare ed è così che si apre una giornata dal tempo meraviglioso. Scopriremo poi che non solo il tempo sarà meraviglioso. Dopo due ore e più di strada accompagnati da paesaggi bellissimi le cui foto possono rendere solo una lontana idea, arriviamo a Challviri.

Challviri, un villaggio che ospita 300 famiglie posto a 3800 metri sul livello del mare. Senza un piano regolatore si estende su un vasta vallata circondata da grandi montagne con pendii a pendenza variabile, con la quasi totalità delle case basse, costruite con mattoni e fango ricoperte da tetti di paglia. Le case sono collegate tra loro da strade (eufemismo, meglio dire piste sterrate), più o meno larghe ma scavate dal tempo e dalla pioggia (altro che buche di Roma). Non mancano motorette di marche sconosciute e ovviamente qualche 4×4 di diverse tipologie. La terra ha colore intensi, rosso e giallo, come per la presenza di metalli ed è molto fertile. I compaesignos qui producono in abbondanza patate ma anche… Non manca il pollame, che gira tra le case, e la carne suina e ovina.

Nonostante la posizione geografica il clima oggi è mite e piacevole. Nella mattinata e nel tardo pomeriggio si sente il piacere di avere addosso una felpa. Ma questo non ci deve ingannare, oggi è una giornata speciale, di solito infatti le nubi la fanno da padrona, avvolgendo l’intero villaggio, il freddo diventa intenso, sopratutto dopo il tramonto, e questo ce lo dimostrano gli abbigliamenti degli abitanti del luogo, caratterizzati da diversi strati di lana. Andiamo quindi a salutare don Rene, amico di vecchia data di Pietro e dirigente dei compaesignos di questa località. Quell’uomo basso e vestito con più toppe che abiti ci accoglie tutti come amici e da lui si sente trasparire una forza d’animo inaspettata. Quando si dice che l’abito non fa il monaco… Con lui ci accoglie anche don Crescenzio, la moglie e suo figlio, una piccola peste di nome Alex. Don Renè / Crescenzio, ci invita a consumare un piatto dentro casa. Il valore della ospitalità è molto praticato, siamo stati circondati da tutta una serie di attenzioni da parte della famiglia che, insieme a tutte le cose offerteci da mangiare pur non essendo ora della comida, ci hanno fatto sentire davvero benvoluti. In cambio? …nulla se non una visita medica ad una loro anziana signora affetta probabilmente da polmonite. Finita questa breve ma intensa sosta, tutti insieme ci dirigiamo in ambulanza a casa di don Gregorio.

L’arrivo è emozionante, per la particolarità del luogo cosi diverso da quello a cui siamo abituati, sia a casa in Italia ma anche ad Anzaldo. Tuttavia non è solo quello che ci emoziona ma anche gli sguardi dei bambini che ci circondando, testimoni di una comunità che nonostante le mille difficoltà vuole crescere ed andare avanti. Guardandosi intorno si capisce che la povertà la fa da padrona, quella che ragazzi della mia età hanno visto solo nei documentari su paesi ed epoche lontane. La gente di qui però non da peso a questo e reagisce come sanno fare solo quelli che amano davvero la propria terra, le proprie tradizioni e che sono da sempre avvezzi a convivere con le difficoltà che ne derivano; senza piangersi addosso, senza lamentarsi, si rimboccano le maniche sorridono e lavorano. Questo fanno i compaesignos, lavorano, lavorano e lavorano nei loro campi, senza però dimenticare di sorridere. Tutto questo si può intuire facilmente girando per il villaggio, osservando l’attività ella gente. I bambini sono tanti, davvero tanti e dopo la scuola neanche loro sono esonerati dal dare un aiuto nel lavoro della famiglia. I loro occhi curiosi e vivaci ti colpiscono. Le bambine le vedi girare felici con i loro fratellini/sorelline minori sulle spalle, delle piccole grandi donne!

Formatasi quindi una piccola comitiva di 11 persone decidiamo di andare a pescare. Non pesavo si potesse pescare a queste altitudini ed invece il nome Challviri, mi spiega Pietro profondo conoscitore di questi luoghi, significa proprio pescatore. Saliti tutti sulla ambulanza partiamo alla volta di una laguna situata a circa due ore di distanza. Ora il raccontare diventa più difficile, perché la mia formazione da medico, non mi permette di descrive con novizia di particolari i passaggi immensamente belli che incontriamo, ci vorrebbe un narratore un poeta, ma di quelli che hanno scritto grandi opere. Eh si perché qui la natura è davvero grande, la laguna dove arriviamo ci lascia senza parole, come anche la montagna che si innalza alle sue spalle. Mi dispiace per il lettore, a cui non posso dare una descrizione migliore, ma spero che questo mio vuoto di parole dovuto ad un accumularsi di emozioni, insieme a qualche foto lo incuriosisca e lo inviti a venire in questi luoghi, per rendersi conto di persona di quello di cui sto parlando. Passiamo quindi tutta la tarda mattinata ed il primo pomeriggio coccolati da un incantevole paesaggio. Riposando guardandoci intorno e ovviamente pescando! Il risultato è buono portiamo infatti a casa ben 5 trote!

Sono ormai le 3 di pomeriggio e ci avviamo di nuovo verso casa di Don Gregorio dove siamo stati inviatati per consumare una comida; hanno infatti ammazzato un capretto per noi, cosa non da tutti giorni a queste latitudini!

Arrivati ci accomodiamo intorno ad un vecchio tavolo di legno dove ci vengono serviti abbondanti piatti ricchi di carne e verdure locali, dal sapore genuino. Consumiamo il cibo parlando del più e del meno, ridendo sempre e ascoltando Pietro che ricorda la storia di Don Gregorio e molte altre. Un clima caldo e familiare si respira.

Sul finire del pranzo accade una di quella cose che non credo potrò mai dimenticare, che, come una nuvola passeggera che oscura il sole, ha un po’ velato la mia giornata. Arriva un’anziana signora, col viso segnato dal tempo, ma ancora in pieno vigore, la quale ci dice che la sua nipotina, da giorni non sta bene.

Chiediamo quindi di visitarla. Ebbene quando la porta, devo ammettere, rimango davvero colpito, si tratta infatti di una piccola bambina di 6 anni con vestiti sporchi, non cambiati da giorni, piangente tremante, con una tosse catarrale che se la portava via e sangue che usciva dal suo piccolo naso. Dopo un’attenta visita giungiamo alla conclusione che la bambina ha una bronchite seria e forse un inizio di polmonite. Non avendo con noi alcun medicinale se non quelli per emergenze, scriviamo a diamo alla famiglia tutte le indicazioni sul da farsi. Ovvero un’urgente terapia antibiotica e visita di controllo! Questa breve e un po’ triste parentesi in questa meravigliosa giornata, mi ha fatto riflettere su un aspetto culturale che mai, da persona cresciuta con valori cristiani potrò capire: purtroppo infatti c’è un grosso problema, o differenza se vogliamo, atavica, culturale, per cui la persona malata è vista come un peso, un problema, una persona non abbastanza forte, che non può lavorare e portare quindi il suo aiuto alla comunità. Questo aspetto sta cambiando, ci promettono infatti che il giorno seguente l’avrebbero subito portata ad un centro di salute, ma ciò non toglie che forse ancora grandi passi si debbano fare in questo senso, non solo dal punto di vista sanitario ma sopratutto nell’aiutare le persone ad inquadrare questo aspetto nella giusta luce, in modo da dare alle persone malate una maggiore possibilità di potersi curare, o quanto meno di avere la volontà di andare a cercare le cure!

La luce del sole, tra stupendi giochi di riflessi e colori, ci sta lasciando ed insieme ad essa il tepore dato dai sui raggi, la giornata quindi sta per noi volgendo al termine, dobbiamo andare, ci aspetto un lungo viaggio di rientro. Gli ultimi minuti però ci riservano ulteriori emozioni. Pietro infatti si alza per tenere un breve discorso di ringraziamento per l’ospitalità che ci hanno offerto e per festeggiare il ritorno di Don Gregorio a casa. Ah dimenticavo, Don Gregorio ha visto per la sua prima volta suo figlio nato esattamente otto mesi fa! Dopo di lui prendono parole sia l’infermiera Claudia, che è stata vicina al paziente durante tutto il periodo del ricovero, sia il padre che la madre di Don Gregorio ed altri parenti fino a Don Gregorio stesso. Tutti fino ad allora avevano mantenuto un grande e dignitoso riserbo e contegno ma ora si lasciano andare a sincere parole di ringraziamento. In questi momenti, se pur brevi, le lacrime scorrono a fiumi, lacrime di gioia che ci riempiono il cuore e che personalmente mi danno nuova carica per continuare sulla strada che sto percorrendo e che mi hanno convinto che ci può essere sempre un lieto fine, nonostante vere difficoltà, tutto sta nel volerlo. Questo finale mi ha fatto tornare in mente una frase di S. Francesco, letta tempo fa che diceva “Comincia col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

Caricati ulteriori doni, tra cui i pesci pescati, sacchi di patate e carne, saliamo io, Pietro, Dott. Saul e l’infermiera Claudia sull’ambulanza per iniziare il viaggio di rientro a casa. Si tratta di un rientro, di un ritorno, forse di un addio, non so se mai tornerò in questi posti ma sono più che sicuro che da questo viaggio, in un certo senso, non tornerò mai.

Dott. Pietro Fransvea, volontario in Anzaldo

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