Una preziosa mano destra

31 Agosto 2020

Questa volta dall’ospedale di Anzaldo non riferisco di una scommessa con il destino vinta dalla nostra equipe, ma solo accettata, per quanto difficilissima: per vincerla, cosa al momento tutt’altro che scontata, occorreranno mesi e una serie di interventi. Sempre confidando nell’indispensabile soccorso della Provvidenza.

Lo scopo della nostra presenza in questo paese andino è da sempre quello di dare una mano alla povera gente che vive qui. Ma questa volta la sorte ci ha preso un po’ troppo alla lettera, chiamandoci a provare a ridare una mano a una persona che l’ha praticamente persa in un incidente.

La delicatezza, l’importanza fondamentale di quanto abbiamo iniziato a fare risulterà in tutta la sua cruda evidenza specificando che si tratta della mano destra di una donna di 34 anni, madre di nove figli. L’amputazione – che era già stata decisa nell’ospedale dove la donna era stata inizialmente ricoverata – rappresenterebbe una menomazione pesantissima per lei e di conseguenza per la sua famiglia. Il nostro scopo è ripristinare per quanto sarà possibile la funzionalità dell’arto.

La donna, Benita, viene dalla zona tropicale del Chapare, flagellata dalla coltivazione della coca e dai conseguenti sanguinosi conflitti per il controllo del narcotraffico, piaga che crea problemi sempre più gravi in BoliviaBenita qualche sera fa stava rientrando in auto da una festa quando suo marito, che si era messo alla guida pur avendo bevuto troppo, in curva ha perso il controllo della vettura che è uscita di strada ribaltandosi più volte. Benita, aggrappandosi come meglio poteva alla portiera, ha evitato di essere sbalzata fuori dall’auto ma si è ritrovata con la mano destra catastroficamente maciullata, con perdita di frammenti ossei e di vari tessuti, e inerte. La corsa all’ospedale più vicino ha permesso le prime cure e il blocco dell’emorragia, ma i medici non vedevano alternative all’amputazione.

Il marito, oppresso dal senso di colpa, si è però ricordato del nostro ospedale sperduto nel freddo delle montagne dove, molti anni fa, era stato operato con pieno successo. Chissà come ha recuperato il nostro numero di telefono e mi ha chiamato, dicendosi deciso a portare la moglie da noi nonostante le restrizioni dovute al Covid 19, tuttora in vigore. Piangendo disperato ci ha chiesto di salvare la mano della moglie, dicendo che l’amputazione gli sembrava un prezzo troppo alto per la pur grande imprudenza da lui commessa. La radiografia ricevuta via WhatsApp era comunque impietosa, mostrando un resto di mano, mancante di varie ossa dell’articolazione carpale oltre a presentare diverse fratture: come se fosse passata sotto un rullo compressore.

Quando Benita è giunta al nostro ospedale, dopo un lungo viaggio nel caldo tropicale, la ferita infetta emanava un odore nauseante. Il molto sangue perso, l’infezione purulenta e le condizioni già riferite dell’arto sembravano non lasciare altra via che l’amputazione.
Ma per una madre di famiglia di una zona rurale poverissima la perdita della mano destra significa una menomazione gravissima, quindi abbiamo deciso di tentarle tutte prima di arrenderci. Al marito abbiamo chiarito subito che non facciamo miracoli, e questo ha commosso fino al pianto lui e gli altri accompagnatori di Benita.

Entro dunque in sala operatoria con due giovani traumatologi. Blocco il nervo brachiale, e i due specialisti puliscono la ferita del dorso della mano che causa l’infezione. In un osso sono ancora incastrate pietruzze e terra. La mano presenta perdita di tessuto in tutta l’estensione dorsale, il carpo manca di gran parte delle ossa che lo articolano con radio e cubito, rendendo nulla o estremamente limitata la possibilità di ripristinare la funzionalità della mano. Questa si presenta inerte, e non risponde a nessuno stimolo. L’arteria che irrora il carpo è occlusa. L’unica buona notizia è che la lesione non ha compromesso il pollice e l’ipotenar. E proprio a questo tenue filo ci aggrappiamo.

La mano è ora immobilizzata con un fissatore esterno. Occorreranno settimane, forse mesi, e una serie di altri interventi, per dare funzionalità a quanto resta di recuperabile, e di sicuro dovremo coinvolgere un chirurgo plastico e altri specialisti per provare a vincere la scommessa. Al momento la soddisfazione è non aver amputato la mano, perché non sembra del tutto compromessa: la speranza è che l’articolazione del pollice possa mantenere l’effetto pinza con quello che resta della parte palmare e l’ipotenar, che sembra recuperabile.
Una piccola speranza, che alimenta il nostro impegno di fare di tutto per salvare la mano di questa giovane madre di famiglia.



Dott. Pietro Gamba e G.R.

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