Medico e meccanico

8 Novembre 2024

Questo mio testo apparentemente si discosta da quella che è l’attività quotidiana dell’Ospedale di Anzaldo con i miei pazienti, in quanto vuole raccontare del mio passato di tornitore, riportandomi con la memoria ai miei giorni da giovane operaio nella bassa bergamasca, dove svolsi la professione per tre anniFu in quei tempi che decisi di fare qualcosa di più audace che restare sul tornio, di staccarmi da quel pezzo di ferro da trasformare, per dedicarmi invece agli altri, alle persone bisognose, non sapendo in realtà ancora dove questa idea mi avrebbe portato.

Dopo aver rifiutato il servizio militare a 20 anni, decisi di accettare piuttosto la proposta del Patronato San Vincenzo di Bergamo di trascorrere tre anni insieme ai ragazzi orfani, per poi trascorrerne altrettanti in Bolivia. Quella decisione decretò la svolta nella mia vita e l’inizio del mio percorso nelle terre dei campesinos.

La Provvidenza, in cui ho sempre creduto grazie anche agli insegnamenti di don Bepo, mi ha ricondotto, dopo gli studi in Medicina in Italia, in quei luoghi poveri e abbandonati della Bolivia, dove circa 40 anni fa ho fondato un piccolo ma attrezzato ospedale chirurgico. Oggi, che sono ormai da tempo un medico qui in Bolivia, quell’arte appresa da giovane nell’officina meccanica e che ho portato con me nella valigia tanti anni fa, mi è stata utile. Infatti, la manutenzione dell’Ospedale è sempre stata un’attività necessaria e un impegno costante, esigendo di fatto continue migliorie ed interventi.

Essere in grado di svolgere piccoli lavoretti manuali, come ad esempio lavori di muratura, falegnameria, semplici impianti elettrici, così come la capacità di redigere protocolli e organizzare il lavoro, oltre all’aggiornamento costante come medico, costituiscono tutti elementi essenziali per il buon funzionamento dell’Ospedale.

Ogni mansione appresa e svolta diventa così un importante strumento per garantire l’efficienza ad Anzaldo; così, in questa prospettiva, saper aggiustare una lavatrice acquista lo stesso valore del saper cucire a macchina per cambiare le telerie dei camici per la sala operatoria o produrre fasce addominali per i pazienti nel post operatorio.

In un’occasione, per aiutare un ragazzo che aveva una gamba piú corta di otto centimetri, disegnai e feci realizzare un fissatore esterno su due guide, azionate da una vite che, spostata di un millimetro al giorno, poteva trascinare l’osso fino ad ottenerne il desiderato allungamento.

Recentemente, aiutato da video su YouTube, ho invece adattato il tavolo operatorio convertendolo in uno specifico per la traumatologia che permettesse di posizionare il paziente con frattura di femore per la trazione, consentendo la visione radiografica, e quindi facilitando la chirurgia riparativa di inchiodamento midollare.

Tuttavia, ultimamente, conciliare l’attività di medico con quella di meccanico mi è risultato sempre più difficoltoso; per questa ragione, mi sono rivolto ad alcuni tornitori in città ai quali ho portato i miei disegni e le mie idee.

In particolare, un’officina scovata in questi ultimi anni a Cochabamba mi è stata di grande aiuto per il mantenimento dell’Ospedale, poiché non mi è stato mai rifiutato alcun lavoro, piccolo o grande che fosse.

Quando varco la soglia dell’officina, sono colpito dalle innumerevoli macchine, dagli utensili, dai pezzi di ferro in disuso, accatastati in disordine sul suolo polveroso, ma ancor di più dal clima socievole e amichevole che si respira.
Mentre il tornio gira, ciò che vedo attorno a me è diverso dai ricordi della mia esperienza giovanile.

Qui, l’ambiente è leggero, e pare più di essere con gli amici al bar, mentre ci si racconta, scherzando, i fatti della settimana. Durante le pause, si condividono un panino e una bibita fresca

All’entrata dell’officina, in bella vista sulla strada, è posta la molatrice, a cui i passanti devono indubbiamente prestare molta attenzione. Qui lavorano tre fratelli, ognuno con la sua specifica mansione: Daniel si dedica al tornio, David a fresa e saldatura, Manuel all’aggiustaggio.

Il lavoro occupa la metà delle loro giornate; i miei incarichi di solito vengono portati a termine nell’arco di una settimana, in modo tale che ogni lunedì, tra una commissione e l’altra, passo a ritirare i pezzi richiesti e a scambiare con loro due chiacchiere. Parlare con loro diventa un momento di gioiosa condivisione e di simpatica comunicazione, che riesce a creare un ambiente familiare.

Questa simpatia è reciproca: loro apprezzano il fatto di avere un cliente medico che parla quechua e inoltre si intende di disegni tecnici, misure, calibro, micrometro, passo dei filetti e del tornio, e così ne approfittano anche per un rapido esame medico fuori dal consultorio. Per me è indiscusso il valore della loro arte, accresciuto certamente dall’esperienza del lavoro quotidiano e della loro intesa fraterna.

In questo piccolo ambiente, le persone che arrivano portano i più disparati problemi di aggiustaggio, per i quali i tre dell’officina offrono svariate soluzioni tramite adattamenti o riparazioni del pezzo rotto o usurato.

Il loro è un servizio semplice e perfino giocoso, fatto di competenza e attento anche a far risparmiare qualcosa ai clienti; e questi trovano un ambiente dove sono invogliati a ritornare.

In questo modo, per i tre fratelli, nonostante le molte ore di impegno giornaliero, il lavoro non risulta “tossico” o particolarmente stancante, date le soddisfazioni che ricevono dai clienti.

Il loro esempio diventa per me spunto di riflessione, che applico nella mia professione quotidiana di medico in Anzaldo. Ascoltare, conversare, instaurare relazioni con persone affette da problemi di salute, dando aiuto e proponendo soluzioni, significa far nascere e crescere quel rapporto di fiducia che è essenziale tra medico e paziente.

Ciò a cui più invita questa riflessione è colmare la distanza tra il professionista e il malato, esprimendo una vicinanza reale con un approccio empatico e umano, facendo pesare meno l’autorità del camice bianco.

Al giorno d’oggi, purtroppo, la medicina si è scordata in parte della sua missione di cura disinteressata del malato in favore dell’aspetto economico, perseguendo sempre di più il fatturato a discapito della qualità e della dedizione alla risoluzione del problema del paziente.

Trasformare un pezzo di ferro in qualcosa di utile, far “rivivere” una nuova macchina altrimenti scartata, grazie all’impegno e alla passione dell’artigiano, equivale perciò a “riparare” persone affette da patologie spesso gravi, con scarso margine di miglioramento o di guarigione.

Tali pazienti infatti spesso non vengono trattati adeguatamente, in quanto curarli è poco “conveniente” sul piano economico per il sistema sanitario pubblico. Il compito del medico, invece, parallelamente a quello dell’artigiano, è tentare sempre con umanità e coinvolgimento di restituire salute e dignità al malato.

Le cose – piccole o grandi – che facciamo, e che portano soddisfazione e sollievo al prossimo, vanno condivise e comunicate perché esprimono importanti valori da non abbandonare, ma da far crescere e recuperare.

Dottor Pietro Gamba

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