Arresa?

1 Luglio 2014

Trovo che “arresa” sia la parola che più si addice ai fatti che ho vissuto la scorsa settimana.
Sento un senso di fallimento per non essere riuscito a far capire a Santiago, il padre di Juan Raul, la necessità di continuare un trattamento chirurgico per la soluzione dell’osteomielite di suo figlio.
Ieri mi ha fatto avere il fissatore esterno, tolto dall’empirico a cui è stato affidato Juan Raul per la continuazione delle cure.
Le pressioni del “Difensore del fanciullo”, con conseguenze che potrebbero anche avere risvolti legali, sono rimaste solo un’impennata di voce alta di tante persone ragionevoli che in Comune ci hanno aiutato. Ora sembra che questo sia solamente un ricordo e già dimenticato.

Il “curandero” ha chiesto 500 Euro per iniziare il suo empirico trattamento con tabacco e un pezzo di cartone che mantiene quasi rigida la gamba, promettendo che in due mesi Juan Raul potrà camminare senza quello strumento di tortura (fissatore esterno) che con sei chiodi gli manteneva composto il femore consumato dall’infezione ancora in corso.
Santiago ha sempre goduto di un aiuto economico che gli viene elargito stante la sua situazione di povertà e quasi privo di mezzi di sussistenza. Ora, che in maniera del tutto autonoma prende decisioni per la cure del figlio, dimostra che i soldi che diceva non avere quando vuole riesce a trovarli in un sol momento.
Mi arrendo quindi di fronte a questa cultura che crede a “bugie interessate e costose” che promettono, ma invano, risolvere rapidamente patologie complicate e non di facile risoluzione, compromettendo così, in maniera seria, la salute di un bambino indifeso.
Cosa ne sarà poi di Juan Raul non lo so prevedere. Al momento posso solo pensare che, se gli va bene, potrà ritrovarsi con una gamba più corta di una decina di centimetri. Se poi andrà diversamente non riesco a concepire che questo bambino, rimasto da noi sette mesi, rimanga zoppo o con l’arto amputato.
Ma in questo caso non posso permettermi un giudizio anticipato, visto che con la medicina che pratico in questi posti non ho riscosso la necessaria e sufficiente fiducia che richiedeva la situazione di Juan Raul.
Mi arrendo anche di fronte alla morte da poco avvenuta di Faustino, operato qui nel nostro ospedale circa un anno fa per un cancro intestinale. Sono stato a casa sua varie volte per seguirlo da quando gli fu fatta l’ultima diagnosi di recidiva del tumore. La nostra medicina in questi casi non può offrire nulla di meglio che l’attesa della morte. In questo ultimo mese gli sono stato molto vicino, ma poi è sopraggiunta la morte. Ci ha lasciati con un saluto per tutti, lascia cinque figli piccoli e una famiglia povera.
Davanti alla semplice bara solo due mazzetti di fiori in un barattolo di latta, due candele e il suo nome scritto con un pennarello su un foglio bianco strappato da un quaderno dei figli.
Di lui conservo tanti bei ricordi, ma soprattutto la sua fiducia riposta in noi dell’Ospedale per salvarlo ridonandogli la speranza di potercela fare e uscire ogni volta dai vari interventi, uno dietro l’altro, che ha subito.
La lotta per la vita ci ha insegnato a non arrenderci. Rifarei tutto quanto fatto e lottato con e per Faustino.
Ora sento un senso di impotenza, come di “arresa” che rende vano l’agire.

Arriva in Emergenza un bambino, Mateo, con un braccio rotto. Proviene da Mollini, una delle nostre comunità tra le più povere. Sua mamma piange con lui: è stato spinto da un compagno mentre stava giocando. Penso intanto che magari voleva emergere e fare un goal alla “Messi” in questo tempo di mondiali dove tutti hanno la testa nel pallone.
La frattura del radio-cubito è brutta, ma fortunatamente non esposta. Deve essere operato con placca e viti per ridurre e allineare l’osso accavallato e rotto in due parti. Ci servirà il traumatologo che faccio venire dalla città. Mateo come tutti gli altri bambini deve essere aiutato; suo padre che ha subito in precedenza una frattura che non ha mai voluto curare, ora non può più sollevare il braccio. Un’invalidità da queste parti è fortemente penalizzante. Difatti Mateo domani avrebbe dovuto andare a ventilare il frumento, appunto perché il papà, per la mala consolidazione della frattura, non può buttare in alto il frumento affinché il vento separi il grano dalla pula.
La mamma continua a piangere, senza consolazione; incolpa il bambino che ha spinto suo figlio causandogli la frattura e pretende che quest’ultimo gli restituisca suo figlio sano come prima. Si preoccupa di chi accudirà il ragazzo durante la sua permanenza in ospedale. Si preoccupa per il frumento da “trillare” e poi per l’aiuto che manca al marito per la ventilazione del grano. Non ha soldi per pagare le spese che dobbiamo sostenere; ha troppi bambini piccoli da allevare. Una spesa forte per un figlio toglierebbe il pane dalla bocca ad altri che stanno crescendo.

Per festeggiare la mia voglia di non arrendermi di fronte a questi scenari, dico alla mamma di Mateo di non preoccuparsi. Penseremo noi a tutto; i bambini vanno aiutati, soprattutto quando provengono da zone che conosco e che sono ancora molto povere. Loro non hanno colpa di cadere giocando a pallone volendo come tutti fare un goal vincente.
Mentre aiuto questa famiglia, succede qualcosa di grande e bello..
Che strano.. sparisce il senso espresso sopra del sentirmi “arreso”.
Qualcosa sembra cambiare d’improvviso sul percorso.
Si può ricominciare a sperare, rincorrere il sogno per continuare e superare nuove sfide che sento e quasi tocco già come nuove piccole vittorie.

Pietro

Altri Racconti

Auguri di Buona Pasqua 2024
Auguri di Buona Pasqua 2024

Il dottor Pietro Gamba e la sua famiglia augurano a tutti una Buona Pasqua, ringraziando al tempo stesso coloro che hann...

Solidarietà a confronto
Solidarietà a confronto

Due racconti di solidarietà a confronto: la comprensione del lavoro e della fatica del campesino attraverso la cura del...

Viaggio in Italia 2023
Viaggio in Italia 2023

Dopo le tre settimane del mio viaggio di quest’anno in Italia, desidero condividere le emozioni che mi hanno ricaricat...

Bottom Image