Bepi il lama, la pandemia e un riconoscimento prezioso

22 Febbraio 2021

Si chiama Bepi ma non è un alpino passato dalle Dolomiti alle Ande. Bepi è il nome che abbiamo dato al lama che un campesino delle alture, venuto dalla Cordillera Real de los Andes, ha donato al nostro ospedale come compenso per un intervento chirurgico.
Bepi è subito diventato la nostra mascotte, e anche un po’ il nostro portafortuna, dato che ci accompagna dall’inizio della pandemia. Si è adattato a noi e ai tremila metri di Anzaldo, pochini per lui e per le sue abitudini alimentari dato che il suo cibo preferito è la ‘paja brava’ cioé paglia secca che normalmente si trova a quota quattromila. 

Qui non è possibile portarlo al pascolo, ma lui si accontenta di brucare l’erba o qualche stelo secco di avena in questa estate andina caratterizzata da sprazzi di sole e improvvisi abbassamenti di temperatura quando arriva uno scroscio di pioggia o un temporale.

Per lui, nel piccolo appezzamento accanto all’ospedale in origine destinato alla coltivazione di un po’ di granturco e patate abbiamo seminato avena, che ora è cresciuta ed è diventata il suo alimento preferito: basterà per tutto l’anno, sostituendo l’avena secca di cui i campesinos ci rifornivano.

All’inizio Bepi era spaesato, allora gli abbiamo affiancato una piccola pecora che ha subito iniziato a seguirlo come se fosse il suo genitore. Poi è successo che la pecora si è ammalata di uno strano male che la stordiva e la faceva stramazzare a terra come ubriaca, e abbiamo dovuto abbatterla. Bepi ora è di nuovo solo nel suo grande recinto erboso in cui bruca senza rovinare le radici dell’erba e si è fatto un punto fisso per i suoi bisogni e un altro dove dorme. Quando sente qualcuno avvicinarsi alza la testa con le orecchie dritte e fissa la persona con i suoi grandi occhi sbarrati, pronto a difendersi con il suo celebre e temutissimo ‘sputo’.

Però è comunque una compagnia preziosa per i pazienti che durante il ricovero passano qualche ora fuori dal letto, sedendosi all’aria aperta sotto i portici luminosi dell’ospedale: loro lo chiamano e lui risponde con lo sguardo, un modo anche questo di farsi compagnia.

Un aggiornamento sull’ospedale ai tempi del Covid-19. Preoccupazione e timori per l’infezione non sono finiti. Di tanto in tanto arriva qualche sintomatico, ma finora non abbiamo visto casi gravi. Su quanti ricoveriamo perché bisognosi di un intervento chirurgico eseguiamo il test antigenico covid. Si tratta di una misura di sicurezza necessaria per non ritrovarci con la sorpresa dell’infezione portata in ospedale, e prevenire il possibile contagio di pazienti, personale medico, specialistico e infermieristico, cui ci si potrebbe esporre in mancanza di precauzioni.

Il giovane campesino che taglia l’avena per Bepi, di nome Dionicio, mi ha conferito un riconoscimento morale che ritengo di particolare valore. C’era lui al volante del camion che ha causato un grave incidente a suo cognato Gualberto, che è stato operato al nostro ospedale per fratture e lesioni alle gambe. Quando gli ho chiesto perché fosse venuto da noi, distanti oltre 200 chilometri dal luogo dell’incidente, mi ha risposto senza esitazione e con candore: ‘Dopo le prime cure prestate a Gualberto in un centro medico del mio paese, un nostro parente mi ha consigliato di venire ad Anzaldo, dove avrei trovato un medico italiano che parla come i campesinos. Questo medico, ha proseguito, non è come gli altri, mastica la coca con lejia insieme a te, non è distaccato, è come uno di noi e ti capisce meglio degli altri’.

Masticare coca con lejia rappresenta il tipico momento di condivisione dei campesinos, come da noi prendere un caffè insieme, fa da collante sociale e induce ad aprirsi alla confidenza.
Dionicio racconta la dinamica dell’incidente. Lui era alla guida di un camion carico di patate, insieme a lui in cabina c’erano la moglie, un loro figlioletto e Gualberto. All’improvviso, in discesa, Dionicio si è accorto che i freni non rispondevano più, e comprensibilmente si è scatenato il panico mentre il camion continuava a guadagnare velocità in modo incontrollabile. La moglie istintivamente ha urlato al fratello di saltare giù dal camion e cercare di mettere qualcosa sotto le ruote per frenarne la corsa. Gualberto con coraggio, o incoscienza, è saltato dal camion, fratturandosi le gambe. Dionicio però conosceva bene quella strada, e sapeva di non dover cedere all’istinto di fermare il camion facendolo impattare contro il fianco della montagna, bensì di dover cercare di arrivare in fondo alla discesa per poi decelerare in uno spiazzo. Così è stato, e il camion si è fermato in quel prato, senza altri danni. Dionicio ha quindi soccorso Gualberto, immobile a terra e sanguinante. Racconta di essere arrivato in mezz’ora al più vicino centro medico dove il ferito è stato stabilizzato e l’emorragia è stata fermata.

Mentre Dionicio si confida, la familiarità che si è creata fra noi mi riscalda interiormente come un tonico, come un’amichevole colpetto sulla spalla.
E’ il riconoscimento spontaneo, sommesso, di un giovane contadino, che con sincerità e umiltà dice: ‘Sei dei nostri, meriti la nostra fiducia perché non sei il solito medico che si mette su un gradino superiore rispetto a noi gente semplice’.
Camminare insieme, accanto agli altri, mettendo a loro disposizione all’occorrenza quel poco che l’esperienza insegna, fa bene a tutti, anche a chi lo fa, lascia in bocca un sapore dolce e prezioso. Come prezioso è un riconoscimento imprevisto che viene dal basso e dà la forza e il coraggio necessari per continuare.

Dott. Pietro Gamba

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