Che bella è la vita!

22 Gennaio 2012

Essere in Anzaldo è un privilegio, come in un osservatorio , permette ogni giorno di vedere situazioni nuove , concrete e storie personali. La necessità chiede aiuto, apre la persona alla confidenza, all’apertura e permette a noi di fare insieme alcuni pezzi di percorso. Miki, durante la mia assenza di un mese in Italia, ha deciso tornare dalla sua famiglia con la mamma e i suoi fratelli e rientrare in Ospedale una sola settimana al mese per le lezioni tese ad ottenere il diploma superiore. Appena rientrato, sono andato a trovarlo, per portargli buone notizie ed un po’ di appoggio dall’Italia. L’ho trovato in una stanza, affollata da persone, adulte e bambini, adagiato in un letto senza il materassino antidecubito ,forato e sgonfio, con il pericolo che altre ulcere da decubito potessero nuovamente presentarsi.

L’ambiente l’ho trovato trascurato, improvvisato e senza un minimo di ordine e di igiene. I bambini appena usciti da un letto comune, di fronte al letto di Miki, dovevano aver dormito in cinque o sei insieme alla mamma, se non a ridosso dello stesso Miki: altri spazi non erano pensabili per una migliore sistemazione. Il gabinetto si presentava come una fogna aperta; l’acqua, comprata in un bidone, prima dell’igiene personale, probabilmente doveva servire per le priorità della cucina. Un senso di provvisorietà e trascuratezza da cambiare l’umore, se non fosse stata quella televisione accesa a tutto volume che, con i suoi colori, faceva entrare in quella baracca con tetto di lamiera, uno spirito artificiale di gioia. Pensavo alla difficoltà di Miki in quella situazione e come poterlo aiutare e gli chiesi di cosa aveva bisogno. La risposta fu una provvisoria carrozzina nuova, forse elettrica, da guidare con una sola mano. In tutto quanto stavo vedendo, non vi era la disperazione che, io provavo immaginandomi nella sua situazione! Le sorprese erano ancora tutte nascoste nella confidenza, quando confessò che la casa, per i prestiti fatti dalla mamma e non ancora devoluti, era diventata di proprietà d’altre persone che gli avevano prestato i soldi per le sue prime cure oltre che per la separazione del papà che aveva abbandonato la famiglia. Ora i nuovi accordi erano che la famiglia doveva lasciare libera la casa dove si sarebbe edificata una nuova costruzione. In effetti, la casa nella sua maggioranza, era già stata demolita, rimanendo ancora in piedi l’unica stanza con il bagno accanto, impraticabile per la carrozzina di Miki che deve esser seguito nei suoi bisogni primari per l’incontinenza ed essere aiutato negli spostamenti dal letto alla sedia. Nel frattempo ricevo un’ e-mail da un carissimo amico che, avendo letto una mia news-letter dello scorso ottobre, mi scrive la sua intenzione di dare il suo appoggio a questa famiglia; una grande notizia che mi porta ad intravedere l’azione puntuale della Provvidenza. Con l’amico ci sentiamo per telefono; la sua Generosità è solida e, saputo da me la situazione sopra esposta, non dubita nel decidere e incaricarmi: “Compragli una casa per la famiglia e passami il conto” Ho detto Grazie al Signore per farsi vedere così chiaro, e farmi partecipe di questi insegnamenti e esempi di Bene! Dovevo ora comunicare la bella notizia all’intera famiglia di Miki, dirgli della soluzione raggiunta, cercare una nuova casa per lui e famiglia. Intanto ne parlai con Padre Carlo, il parroco che ogni giorno è con noi in Ospedale essendo lui medico e anestesiologo. Ma la bella notizia era da comunicare e partecipare con entusiasmo ai medici, ai volontari, alla moglie Margarita e a tutti quanti conoscevano la storia di Miki e la sua situazione famigliare. Il Bene non può aspettare! Il giorno dopo, dovendo andare in città, Margarita andò a trovare Miki, per portargli la notizia della casa che avrebbe sistemato l’emergenza per l’intera famiglia. Il ritorno serale però era carico di complicazioni quando mi disse che la casa risultava essere di proprietà dello zio di Miki che ancora non sapeva degli imbrogli usati per farsi dare i soldi ipotecando la casa. Alcuni giorni dopo, il chirurgo plastico, venuto per un intervento in Anzaldo, lo stesso che ha operato e guarito Miki dalle ulcere da decubito, mi porta la notizia che mi lascia stordito “lo sai che ho visto in televisione l’arresto di Miki e della sua famiglia per spaccio di droga? Non potevo credere; evidentemente era uno sbaglio, anche se il medico conosceva bene Miki, per averlo visitato con me nella sua casa quando, si cercava sistemarlo in un Istituto per disabili che non abbiamo trovato. Sono stato a trovarlo nel carcere maschile di Cochabamba. Conosco da anni quegli ambienti superaffollati da girone dantesco. Che effetto entrare e trovare Miki! La sorpresa è che con lui vi era il fratello maggiore, in carcere da tempo con i suoi due bambini che forzosamente lo accompagnano. Mi spiega che la colpa è della sorella che era da tempo nei traffici della droga e che, seguita dalla polizia, questa ha fatto irruzione nella casa. Per salvarsi ha buttato lo zaino con la droga sotto il suo letto e per questo è stato incolpato e arrestato insieme alla mamma che, con la sorella, è stata portata in carcere. La mamma porta in carcere con lei i fratellini minori a suo carico, e la sorella i suoi due bambini. In sostanza questa è la nuova sistemazione dell’intera famiglia di Miki in un equilibrio ancora tutto da decidere. Chiedo come dorme, e mi mostrano il materassino antidecubito che pone su un piano ricavato da due panchine avvicinate frontalmente quando si fa’ notte e quando gli altri detenuti le lasciano libere per dormire su delle stuoie per terra. Ho sofferto per questa caduta, e questo senso di impotenza nell’aiutare l’altro in difficoltà. La stessa sofferenza l’ho provata quando, i primi giorni dell’anno, da Cochabamba, si è presentata fuori dall’Ospedale l’ambulanza del Comune per portarmi un bambino che, per il viaggio, era stato staccato dal respiratore arrivando ancora intubato e con abbondante secrezione. In vena aveva due grosse siringhe della Dopamina e Noradrenalina, tolte dalle pompe infusorie che gli regolavano la pressione. Il bambino di sei anni, dopo un incidente e un intervento neurochirurgico in città, costava troppo per la sua completa recuperazione. I suoi genitori hanno deciso di toglierlo dalla terapia intensiva per lasciarlo morire. E’ morto qui da noi dopo circa tre ore, senza poter fare nulla, perché non abbiamo il servizio intensivo. Vederlo morire, in crescente difficoltà di respiro, con il battito che cedeva, e l’ossigeno che non saturava, ha completato il senso d’impotenza e accresciuta l’ingiustizia provata per un abbandono pensato, una condanna a morte innocente. I colpevoli sono l’ospedale che l’ha dimesso in tale stato dopo che i genitori hanno dovuto sistemare il conto economico che è stato alto così come è costato a Miki quando è uscito dalla terapia intensiva. Ho pensato che per quella famiglia, così provata dal salato conto per ritirare il loro figlio, il secondo morto nella tragedia dell’incidente, si ripetesse la stessa storia di Miki. Disperazione, sono state quelle ore, senza poter fare nulla, se non un senso pesante di ribellione per una tragedia che finiva.. nella tragedia ancor più acuta! Abbiamo pregato per lui; questo, nessuno di noi l’ha sentito sufficiente! Nel recitare l’ultima preghiera, il singhiozzo e il pianto di una rassegnata sconfitta! La coscienza non era stata sufficientemente tranquillizzata con quella preghiera d’accompagnamento finale! Ingiustamente condannati… a soffrire, a morire, a pagare per altri, a vivere di stenti e di pochezze!! Ecco quanto si riassume da questo osservatorio che è l’Ospedale!! Eccomi, ancora con le stesse domande dei primi tempi, quando la decisione d’essere medico voleva essere speranza per tanti. Oggi tale speranza non è avvilita, è solo confrontata con i fatti che sapevo di incontrare e di provare. Il Signore ci conosce; saranno le opere che ci avvicinano a Lui per diventare un Suo riassunto! Jacinto, venuto a trovarmi in sedia a rotelle e in una situazione similare alle storie raccontate, poco fa mi ha detto: “Voglio vivere, perchè la vita è bella!”.

 

Dott. Pietro Gamba

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