La Vita che Vale

5 Febbraio 2013

Stanotte Ciprian (Cipri per gli amici) ci ha svegliati; il risveglio di soprassalto nel silenzio e nel pieno sonno della notte non mi trova scattante e lucido come sono stato in altri tempi. Alla mente riaffiorano emozioni di vissuto che parlano di complicazione e a volte anche di morte che per un medico ha sempre sapore di sconfitta.
Vedo Cipri agonizzante, pallido, senza pressione dopo l’ottavo intervento qui sostenuto per rimettere l’intestino al suo posto. Gli chiedo come va: la sua risposta con un sorriso è sempre la stessa con uno spontaneo ”bene” anche se il fiato è corto e la voce flebile che la senti appena.
Chiedo al medico Stefano qui chiamato “Estefano”, al secondo anno di Medicina d’Urgenza a Pavia, giovane di ventisette anni in piena attività di volontario per far coincidere le tante nozioni studiate e superate con il 10 e lode a Pavia, alla dura realtà locale che ti fa sentire solo con te stesso e con quanto hai potuto imparare dalla scarsa pratica di una specialità ancora da consolidare. Vederlo tanto appassionato per il prossimo fa svanire ogni dubbio e ti porta invece a dire che sta’ facendo bene.

La dopamina, l’adrenalina sono farmaci non troppo domestici in questo ospedale di campo; ora li vedo in una siringa montata su una vecchia pompa, ma ciò nonostante non si riesce ancora a riportare i livelli di pressione e di sicurezza che vorremmo invece percepire.
Controlliamo le urine e si riesce con sforzo a mettere una pressione venosa centrale. Dall’altro letto, Ruben sta’ vomitando sangue. E’ stato operato tre giorni fa. Sono venuti dalla città due neurochirurghi per riparargli una lesione importante della dura madre che avvolge il cervello nella parte frontale dove, in una tomografia si osservava l’entrata dell’aria nel cervello.
Per poterlo operare abbiamo dovuto mettere in atto una lenta opera di convincimento perché non era affatto accondiscendente. Ho conosciuto suo padre a Challviri nei miei anni giovanili, quando mi stavo avvicinando alla realtà della Bolivia e al completo abbandono della salute pubblica da parte dello Stato.
Oggi l’esperienza e il mistero mi riporta su suo figlio, diciottenne come quando, 37 anni fa, incontravo suo padre sulle alture dove ho potuto imparare la loro lingua quechua. Ruben si è scontrato violentemente con un’altra moto in una curva. La violenza e colpo è evidenziata dal gonfiore del volto, dagli occhi chiusi e dai lividi importanti dovuti alla frattura delle ossa facciali, con conseguenze imprevedibili e non rassicuranti.

Per poterlo operare ho dovuto mettere in atto una lunga ed estenuante trattativa con il padre che l’ha portarlo presso il nostro ospedale per poter avere l’assistenza gratuita per quanto riguarda la degenza ospedaliera, e potendo usufruire del costo ridotto delle prestazioni dei neurochirurghi che abbiamo dovuto far intervenire.
Verso l’alba altro allarme. Sveglia, fuori dal letto, vestirsi velocemente perché Cipri e Ruben stanno male. Cipri è cadaverico, Ruben butta sangue dalla bocca e dal naso. Lo sento preoccupato per la quantità considerevole di sangue che sta’ perdendo. La sua situazione era già delicata a seguito dell’intervento di craniotomia.
Ripariamo le perdite con liquidi, controlliamo con i monitor che abbiamo. Non sono tranquillo soprattutto quando vedo che dopo un paio di ore, Ruben vomita ancora sangue e si accascia senza vita. Subentra l’emergenza. Sento Esteban che urla e si genera il panico. Trasfondiamo sangue e soluzioni colloidi e cristalloidi. Manteniamo la pressione e un filo di coscienza. Chiamo il neurochirurgo; dice che è un paziente complesso e si deve trasferire in centri di maggior capacità risolutiva dove l’otorino possa intervenire prontamente. Scatta il trasporto in ambulanza di corsa verso la città accompagnato da Alfredo, infermiere venuto da l’Aquila e che, con passione di volontario è qui per conoscere queste realtà.

Le sirene non servono a far spostare le macchine che trovo sempre più numerose; il caos aumenta quanto più mi avvicino al centro della città e pochi mi concedono di passare. Arrivo all’ospedale generale e, con delusione, nessuno ci aiuta a trasferire all’interno il paziente che con tanti sforzi siamo riusciti a mantenere in vita. Ma questa è la Bolivia che ancora deve migliorare e cambiare. I giovani medici che si stanno formando sono lasciati all’abbandono, costretti ad imparare da soli senza maestri e con pochi riferimenti; senza nessuno che insegni loro il valore di una vita da salvare.
Ritorno e rientro nel mio ospedale. Vedo Cipri, il suo sorriso, la sua forza. Stamattina l’abbraccio con sua moglie Matilde, entrambi piangenti, è stato commovente davanti a tutto il personale in visita. Si vogliono troppo bene per lasciarsi. Noi stiamo facendo miracoli, utilizzando farmaci e persone per salvarlo. In quell’abbraccio di pianto e paura, di gioia e vicinanza, ci siamo anche tutti noi con tutta la nostra speranza e la passione per salvarlo.

Dott. Pietro Gamba

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