Partenza per Challviri

19 Gennaio 2013

Partenza per Challviri. Pietro, Maki, Norah, Sara, Alfredo ed io in marcia a bordo della Toyota Ambulanza stracarica di tutto: frutta, farmaci, bambole e caramelle, condito con tanto entusiasmo, buona volontà e curiosità palpabile tra i neofiti del viaggio.
La giornata è uggiosa, fresca.
Guardando il panorama verso il quale ci stiamo dirigendo capiamo subito che il tempo non sarà clemente, anzi. Ma che cosa saranno mai un paio di giorni estivi di pioggia rispetto ad un inverno intero senza luce, riscaldamento ed acqua calda?
Durante il viaggio Pietro ci racconta qualche spaccato di vita da ventenne nella comunità, di come fu introdotto alla cultura campesina e delle chilometriche camminate di ore e giorni lungo i sentieri tracciati nell’altipiano, come le formiche disegnano la loro strada dalla casa alla fonte di cibo. In mezzo Vasco Rossi ed i Nomadi.

Dopo 4 ore, un panino al salame canavesano, due banane ed un Pijcho, arriviamo alla casa di don René, il diacono di Challviri. Un’accoglienza splendida. Un letto per dormire la notte ed un piatto di papawayku, papas hervidas, papas chuño y llajua.
Prima tappa Maikamayu, una comunità raggiungibile attraverso una strada di 14 chilometri costruita dagli abitanti e da Luigi Cavagna negli anni ’80, facendo saltare le rocce con la dinamite, esattamente come fanno ancora oggi i minatori di Potosi, chilometro dopo chilometro.
Parcheggiamo davanti alla posta, un edificio pubblico abbandonato, forse mai utilizzato. Non c’è luce né acqua. Si avvicinano incuriositi i primi campesinos, attirati dall’ambulanza e dalla sua sirena. Dopo un rapido sopralluogo decidiamo di comune accordo di accamparci in casa di uno di loro, in modo da avere a disposizione una presa di corrente per attaccare l’ecografo ed un letto per le visite ed i PAP test. Norah sotto la pioggia espone splendidamente tutte le norme base di igiene e di prevenzione primaria che purtroppo in queste realtà non sono ancora praticate. Sta calando il sole. L’orientamento temporale è sparito anche per noi.

Ricarichiamo l’ambulanza e torniamo a Challviri soddisfatti della giornata, proficua per tutti, ma con la sensazione di aver versato in un mare salatissimo una goccia di acqua dolce che svanisce nel momento stesso in cui si mescola alle altre.
Doña Modesta ha preparato una sopa de arroz con carne di oveja, uccisa il giorno prima per festeggiare il nostro arrivo. Spazzoliamo la cena e René ci intrattiene con le novità della comunità e di come nel tempo la cultura, le usanze, la strutturazione sociale costruita attorno alla figura del dirigente nominato dal popolo abbiano progressivamente lasciato spazio all’individualismo, alla ricerca del bene materiale di consumo, televisione, motocicletta o cellulare che sia ed alla fuga dei giovani verso Cochabamba, attratti dalle opportunità che la città potrebbe offrire.
Andiamo a dormire. Il materasso è una tavola di legno. Le coperte sono di lana grezza colorata pesantissima che ti fa mancare il fiato.

Un gatto salta sul tetto di lamiera per inseguire un uccello della notte. Tutti svegli di soprassalto pensando giunga l’apocalisse.
La mattina alle 7 in piedi. Colazione con papas hervidas y arroz con carne di oveja. Nonostante siano anni che si ripete la tradizione e da settimane si sapeva del nostro arrivo, non era stato previsto un luogo come base operativa. Pietro se lo immaginava. In fondo nessuno ci aveva chiesto di fare 200 Km di strada sterrata in 6 su un ambulanza strapiena di tutto, sotto la pioggia al freddo, per offrire un minimo di assistenza medica e di educazione sanitaria. Era un problema nostro.
Dietro la chiesa scoviamo due stanze abbandonate di tre metri per due con un letto da campo, un tavolino ed uno sgabello. L’ambulatorio è pronto.

Piano piano la sala d’aspetto si affolla di donne e bambini. Ecografie della colecisti, PAP test, visite mediche generali, antidolorifici, antibiotici, caramelle e bambole in cambio di patate, insalata, sorrisi ed abbracci. Per concludere la giornata cerimonia nella chiesa della comunità con canti e preghiere in quechua. Prima di ripartire doña Modesta ancora ci riserva cibo per rifocillarci. Pijcho e cuyunas di saluto e via, direzione Cochabamba.
E’ stata un’equa distribuzione delle risorse? Lo spero davvero. In tanti momenti mi sono venuti in mente i racconti dei miei nonni della loro gioventù e delle difficoltà nelle piccole cose di tutti i giorni. Adesso sì, credo proprio di aver capito!

Stefano con Sara e Alfredo ( Volontari in Anzaldo in questo mese di Gennaio 2013)

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