Placenta Ritenuta

13 Febbraio 2023

Con il passare degli anni, si accumulano i ricordi delle persone che sono passate dall’ospedale e che oggi ci hanno lasciato. Ricordo Bonifacio, amico, dirigente che collaborò a migliorare l’organizzazione del paese; comparve una notte alla porta dell’ospedale con l’addome squarciato da una sega circolare; sosteneva con le mani sanguinanti i propri intestini penzolanti, e venne salvato dalla destrezza del nostro chirurgo.

Della stessa comunità faceva parte Alberto, ucciso dal diabete perché rifiutava di assumere l’indispensabile insulina.

Ancora oggi continuiamo a ricevere le richieste più impensate di aiuto. Dall’Italia ci stanno arrivando i farmaci chemioterapici, qui introvabili, necessari per evitare l’amputazione di un piede a una giovane mamma di due figli; e stiamo richiedendo due valvole cardiache indispensabili per salvare la vita di un giovane privo di risorse, che deve essere operato al cuore.

Negli ormai molti anni di presenza ininterrotta in questa terra, ho incontrato molte situazioni che hanno richiesto il nostro intervento.

Da una comunità lontana da Anzaldo è arrivata Eugenia, portata in condizioni disperate dai suoi famigliari. Qualcuno aveva detto loro che qui si sarebbe salvata, come già accaduto ad altre persone di cui si era sentito parlare. Ma non sempre basta la buona volontà, e per Eugenia si è trattato dell’ultima corsa.

Due settimane fa Eugenia, non ancora diciottenne, ha partorito il suo secondo figlio, a circa un anno e mezzo dal primo

I parenti ci raccontano che il parto è stato normale, ma una volta tagliato il cordone ombelicale la placenta non è uscita. Si è provato a rimediare come si usa nelle zone rurali in questi casi: si lega un capo di uno spago alla parte di cordone ombelicale ancora attaccato alla placenta, l’altro capo a un alluce della puerpera; questa con piccoli strappi ripetuti cerca di staccare la placenta dall’utero. Il pericolo di questa manovra è che, se la placenta aderisce in modo troppo saldo all’utero, si aggrava il sanguinamento. E ad Eugenia è toccata proprio la peggior complicazione prevedibile. I parenti, vedendo la situazione precipitare con un’emorragia continua, e la ragazza sempre più sfinita e pallida, sul punto di venire meno, si sono decisi a ricoverarla all’Ospedale Maternologico di Cochabamba. Posso solo immaginare in quali condizioni la povera donna sia arrivata in città, dopo tre ore di trasporto. Sono certo che i medici abbiano fatto il possibile, con trasfusioni di sangue e liquidi, senza però riuscire a evitare la complicazione più temibile, l’insufficienza renale; così per mantenere Eugenia in vita si è dovuto ricorrere all’emodialisi.

Questa scelta, pur obbligata, è equivalsa a una condanna per la donna. Quando i medici hanno informato i famigliari che la terapia andava ripetuta tre volte a settimana, questi hanno deciso di ritirare la giovane dal Maternologico, pur sapendo che così per lei non ci sarebbe stato scampo. Ma in questa durissima realtà le decisioni anche estreme si basano ancora sull’autosufficienza della persona. Chi diventa un peso per una famiglia già priva di mezzi, costandole ulteriori sacrifici, viene abbandonato al proprio destino. La stessa Eugenia ha aderito alla scelta dei famigliari, firmando il consenso per essere dimessa.

Poi la corsa disperata al nostro ospedale, dove si riceve assistenza gratuita.
Quando è arrivata da noi, la ragazza era già incosciente, pallida per l’anemia, con importante edema generalizzato. Il sangue proveniente dai polmoni che colava dalla bocca comprometteva l’ossigenazione. Subito intubata, Eugenia non ha mai recuperato un’ossigenazione sufficiente, e dopo circa un’ora di lotta i monitor che mostrano le funzioni vitali ci hanno detto che l’avevamo persa.

In ospedale è nostra buona abitudine dare un ultimo saluto a chi ci lascia, raccogliendoci intorno alla salma composta insieme a tutto il personale e ai parenti per una preghiera di addio, raccomandando la sua anima al Signore. Ma questa volta la proposta è stata rifiutata dalla famiglia, con la motivazione che essi sono ‘credenti in Dio e senza nessun idolo’, e che per le preghiere si sarebbero rivolti al loro Pastore. Questa conclusione mi ha rattristato, ma ho rispettato anche questa decisione, così come quella – dettata dalla miseria – di ritirarla dal Maternologico dove la dialisi l’avrebbe potuta salvare.

Dopo quasi quarant’anni vissuti in questa realtà, e assistendo ancora a tali tragedie causate quasi sempre dall’estrema povertà, mi chiedo se fatti come questo suscitino interrogativi, o se invece siano visti come ‘normali’ disgrazie che lasciano tutto sommato indifferenti, senza far male alle coscienze, senza fare rumore, senza che nessuno senta in sé una voce che reclama il rispetto dei fondamentali diritti umani.

Dott. Pietro Gamba

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