Primo 3000 in solitaria invernale

6 Ottobre 2016

Diciamo la verità, mi hanno sbattuto in Bolivia da Pietro, perché moglie e figlie volevano vacanze tranquille in un villaggio turistico ed io sarei stato solo un peso.

Quindi niente poesia o missione. Per carità neanche una punizione, solo la fine manipolazione di una mente femminile.

Accettata la sfida sono atterrato a Cochabamba dopo il solito viaggio interminabile il giorno 8 Luglio accolto da una bellissima giornata e da Macchi con le due allieve infermiere spagnole (Miriam e Mariele). Subito mi hanno portato ad Anzaldo al capezzale di Pietro agonizzante per una gastroenterite virale (esatto una banalità da lui trasformata in una via di mezzo tra una tragedia greca ed una commedia napoletana). Giusto il tempo di esporgli la mia posizione nettamente favorevole all’EUTANASIA che, per fortuna (o purtroppo?) inizia la sua “miracolosa” ripresa e guarigione.

Il giorno successivo ci siamo immersi subito nel lavoro con un intervento per ernia inguinale.

Mentre mi adattavo lentamente alla quota di Anzaldo scoprivo le delizie di un clima capace di passare dai 25 gradi del mezzogiorno ai 5-6 gradi della sera (quando il sole intorno alle 18 precipita di colpo oltre l’orizzonte). La stagione secca vuol dire questo, un cielo terso e limpido, 20 gradi di escursione termica e le riserve di acqua che si assottigliano ad una velocità inquietante. Un paesaggio spoglio e polveroso. Maglietta di giorno al sole, giacca a vento alla sera.

Il giorno a seguire Pietro mi offre una camminatina ristoratrice per il mio “male di Altura” (ma la colpa è mia… mia madre diceva sempre “chi ha testa la usi…” e se seguo Pietro nelle sue passeggiate due giorni dopo il mio arrivo, probabilmente è proprio il mio cervello a lasciare a desiderare).

Quel giorno l’ambulanza scarica un paziente con frattura diafisaria di femore e frattura di Colles al polso da precipitazione da un muro di 4 metri (in un tentativo di fuga da un centro di detenzione). Aspetterà con grande pazienza (che gli piaccia o meno) l’arrivo dell’ortopedico.

Il fine settimana in Cochabamba mi offre la possibilità di riabbracciare la famiglia di Pietro e Macchi al gran completo. Una meraviglia vedere a distanza di 10 anni la trasformazione delle 4 “chicas” di casa GAMBA-TORRES in 4 ragazze che oltre ad essere belle (hanno preso tutto da Macchi… tranquilli) sono ragazze autonome solidamente incanalate in programmi di studio e di lavoro.

Si torna in Anzaldo con le provviste per la settimana e vari pezzi di ricambio.

Finalmente l’arrivo dell’ortopedico (peraltro a notte inoltrata e 4 giorni dopo il trauma) insieme ad Antoine sistemerà le fratture del nostro paziente (essendo detenuto per ripetute violenze in famiglia, la mia professionale EMPATIA non ha ritenuto peraltro indispensabile scomodarsi…).

Come spesso succede Pietro riesce ad avere slanci che commuovono e chiede a Padre Carlos la celebrazione di una S. Messa a ricordo dell’amico Ferri Renzo (infermiere ed ex-caposala del blocco operatorio di Treviglio) che era stato con noi in Bolivia nel 2005 e “andato avanti” poco prima della mia partenza per la Bolivia (Ciao Renzo… mi manchi…).

Una piccola targa nella cappella dell’Ospedale ricorderà questo amico e la sua vita esemplare.

Al rientro di nuovo in sala operatoria per una laparoplastica con rete.

Ma il caso clinico più grave si chiama Jaime, un ragazzino di 15 anni che grazie alle “amorevoli” cure di un Curandero ha trasformato un trauma della caviglia destra in una osteomielite con artrite settica. Soffre tanto e, a queste latitudini, la sola possibilità per questa grave infezione consiste in una terapia antibiotica mirata.

La piaga dei curanderos resta un problema grave perché minano la fiducia dei pazienti nella medicina tradizionale e ritardano la cura adeguata dei pazienti (quando non li condanna a morte sicura). Il curandero resta la scelta più “economica” per il paziente ma questo moltiplicato per tutti i potenziali malati diventa un “lavoro” molto lucrativo (e motivante) oltre al fatto che questa figura risulta molto prestigiosa nelle comunità periferiche.

La settimana si chiude con Antoine che (come sempre) macina visite su visite ed infinite ore di ambulatorio ad ascoltare e trattare decine e decine di pazienti. Un lavoro impagabile e prezioso anche alla luce della sua preparazione professionale, buon senso e perfetta conoscenza della normativa sanitaria boliviana.

Il Sabato partiamo in aereo per La Paz, dove proseguiamo in autobus e raggiungiamo il lago Titicaca. Da Copacabana traversiamo in barca questo enorme lago salato posto a 3800 metri e sbarchiamo alla sera alla punta nord dell’ISLA del SOL. Visitiamo un sito archeologico e la mattina successiva facciamo a piedi le due ore di cammino, attraverso un sentiero che percorre il crinale delle colline dell’isola, ci riporta al porto all’estremità sud (anche se ormai sono ambientato non tengo il ritmo dello “Stambecco Andino di Stezzano”).

Ancora barca, ancora Copacabana e di qui direzione Tiwanaku. Il passaggio della frontiera con il Perù ci proietta in una “simpatica” celebrazione della burocrazia più becera ma alla fine raggiungiamo questo stupefacente sito archeologico.

È incredibile questo posto. Migliaia di anni prima di Cristo una popolazione realizza un centro spirituale e in qualche modo liturgico su nozioni di astrologia molto approfondite. In mente mi torna la poesia di Brecht “Domande di un lettore operaio” e lo stupore per la precisione delle monumentali realizzazioni megalitiche sono sostituite dal pensiero della fatica e dal sacrificio di coloro che le hanno realizzate.

In serata visita lampo a La Paz, quindi aereo e rientro a Cochabamba… letteralmente distrutti dal tour de force.

Lunedì giornata di rifornimento certo, ma Pietro trova anche il tempo per una rapida visita in carcere per portare una lettera a un ragazzo detenuto che aveva vissuto per un certo periodo alla Ciudad del Nino. Non sono ammesse visite ma l’impressione dal cancello è forte. La maggior parte dei reati riguardano le molestie e le violenze sessuali.

La giornata vede ancora una riunione presso l’ordine dei medici di Cochabamba per l’elezione del nuovo consiglio direttivo, poi a sera inoltrata il viaggio ad Anzaldo.

Il pomeriggio successivo Pietro decide per una visita a Hebrada Onda per trovare la famiglia di un paziente operato per volvolo e la sua famiglia. Dopo mezz’ora di fuoristrada ed un’altra di cammino con la guida di un campesino raggiungiamo una comunità di casupole sparse tra le montagne. La famiglia completa di 6 bambini ci accoglie inizialmente diffidente ma la condivisione della coca riesce a scaldare gli animi. Il paziente sta bene ma non riesce ancora a lavorare la terra, dare da mangiare a tutti diventa un problema drammatico. Pietro parla di questi problemi ma riesce anche a cogliere la curiosità di un bambino per la sua Canon. In due minuti gli spiega come funziona ed il piccolo ed i suoi fratelli iniziano a divertirsi come matti scattando foto a tutto e tutti. Le loro risate e il verosimile stupore quando vedono il risultato sul monitor della macchina, riempiono rapidamente il cortile. Perfino i genitori dimenticano per un attimo le preoccupazioni e si uniscono alla gioia dei figli. Guardandosi intorno la miseria è totale. Per l’acqua devono fare mezz’ora a piedi. Una malattia diventa una tragedia, anche solo considerando la distanza da percorrere per raggiungere l’Ospedale. Ogni tanto la mamma attacca la piccola al seno che non fornisce più latte ma rimane un rifugio sicuro.

Il sole che cala ci comunica che è l’ora del rientro e ci incamminiamo.

La serata trascorre benissimo grazie ad una pizzata organizzata dalla Macchi che mette in luce le sue doti di pizzaiola e quelle di Pietro come fuochista. Pizze semplici nel forno a legna, davvero squisite.

In Pronto Soccorso a notte fonda arriva un bambino con febbre. Avevano bussato all’Ospedale pubblico per sentirsi consigliare di rivolgersi da Pietro.

Alla miseria materiale del pomeriggio si associa la povertà umana dei colleghi alla sera.

I giorni scorrono lenti, ma pieni. Anche le attrezzature dell’Ospedale iniziano a perdere colpi e mentre Antoine macina visite su visite, io provo a non fare danni dando una mano a Pietro a riparare o smontare sia la cucina che la lavatrice industriale dell’Ospedale.

Portare avanti l’Ospedale di Anzaldo richiede una solidità ed una perseveranza fuori dal comune. Al lavoro con la gente, alle richieste dei pazienti si affiancano le esigenze di manutenzione delle strutture e delle attrezzature, il rifornimento dei materiali, la gestione del personale. Qui il lavoro non arriva solo dalla porta del Pronto Soccorso, ma anche dall’impianto luci, dalla pompa dell’acqua, dall’Ambulanza, dalla centrale di sterilizzazione e da tutte le attrezzature che tengono in piedi l’attività dell’Ospedale. Pietro senza togliere neanche il camice cerca come un folletto di essere presente sia all’attività clinica sia alla gestione di tutti quei problemi grandi o piccoli che si sgranano lungo i giorni, le settimane, i mesi.

Problemi banali diventano sfide ardue considerando la mancanza di tecnici e personale adeguato. Tutto viaggia lento. Trovare un persona, tecnico o ingegnere che sia, con la competenza specifica in un settore diventa un peregrinare infinito, un mare di telefonate, un’infinità di incontri e tentativi inutili di individuare la persona seria, competente, affidabile a cui richiedere di svolgere il lavoro.

I pazienti si susseguono in Ospedale. Arrivano, vengono assistiti (che è più che curati) e ripartono. Lasciano nella mente e nel cuore le loro storie, negli occhi, se si è fortunati, il loro sorriso.

Jaime peggiora, è defedato, la situazione non migliora, febbre e sofferenza, deperisce (peserà meno di 40 kg a 16 anni). La radiografia conferma il peggioramento. La fiducia della famiglia comincia a traballare. Sicuramente qualche parente ripropone la “medicina tradizionale”.

Mentre ci sforziamo di trovare una soluzione arriva una bambina di 8 anni con una frattura di gomito vecchia di un mese che non piega più il braccio. È caduta dal mulo mentre era con la nonna, i genitori tornati dal Chapare dove si trovavano a lavorare, l’hanno portata in Ospedale. Penso al dolore che ha dovuto sopportare questa bimba.

Adesso deve essere operata, bisogna tornare sul focolaio di frattura staccare il frammento osseo e riposizionarlo in sede nella speranza che recuperi almeno in parte la flessione del gomito.

Ritorna l’ortopedico e si passa un’altra notte in sala operatoria.

Iniziamo con la bimba, e le difficoltà si presentano immediatamente. Il callo osseo è tenace, alla fine, solo dopo 3 ore di lavoro sarà possibile ottenere un risultato soddisfacente.

A seguire è il turno di Jaime, si deve drenare il focolaio settico e si finisce con l’aprire l’articolazione tibio-tarsica. la diagnosi è confermata, l’infezione si è mangiata parte del perone.

Questo ragazzo sarà fortunato se camminerà, ma ha finito di giocare, e tutto questo dopo una cura lunghissima.

Si esce dalla sala che è notte fonda.

Quest’anno per la prima volta sono in Anzaldo per la festa di Santiago.

Spettacolare. Anzaldo si riempie e si trasforma. Musica ovunque, balli, processioni, il paese subisce una metamorfosi totale. Girare con Macchi e Pietro significa essere pressati continuamente da inviti a bere e mangiare. Ci aggreghiamo e balliamo, mangiamo , beviamo. Tutti li vogliono, tutti li conoscono, tutti hanno qualcosa per cui ringraziare.

La “chicha” scorre a fiumi, in un testa a testa con la birra. La prima viaggia di mano in mano direttamente dai secchi, la seconda risponde con una miriade di lattine vuote in ogni angolo. Per strada insieme alla festa i primi “caduti”.

Anzaldo che solitamente si presenta come Macondo la cittadina di “Cent’anni di solitudine” si trasforma in occasione della festività di Santiago in una piccola Rio de Janeiro a Carnevale.

Anche la messa, dove la domenica si contano pochi campesinos, vede la chiesa stracolma di gente.

E qui voglio dire che una presenza significativa è rappresentata da Padre Carlos degli Scolopi, una persona di grande umanità e ricchezza. Spesso in Ospedale con i medici ed i pazienti, raggiunge le comunità con la trasmissione serale alla radio. Macina chilometri. Conosce a memoria i suoi ragazzi.

Con la festa si conclude la mia permanenza in Anzaldo.

È tempo di saluti, è tempo di tornare.

Abbraccio tutti, un ultimo saluto ed un grosso grazie ad Antoine e si rientra a Cochabamba.

L’appuntamento con Pietro è per Novembre in Italia, mentre Macchi la voglio salutare bene, come merita. Un abbraccio per dirle grazie, le parole le ho messe qui sotto.

Molto di quello che di piacevole e sereno si vive in Casa Gamba è il frutto del lavoro di Macchi, la sua silenziosa presenza, le sue parole misurate, le sue opinioni così pesate, la sua instancabile energia, la sua tolleranza per tutto e tutti, la sua visione del Servizio, la sua affettuosa presenza materna, la sua ineccepibile professionalità, la sua misurata sapienza nel gestire il personale, la sua boliviana ospitalità nell’accogliere gli amici, il suo essere semplicemente Macchi.

(Senza dimenticare che nonostante tutto NON ha ancora ucciso Pietro anche se tutti saremmo disponibili a fornirle un alibi e testimoniare a suo favore…).

Al rientro sono stato accolto da moglie e figlie, che mi hanno abbracciato e poi… la più grande :”.. papà l’anno prossimo vai ancora in America Latina?…” Che dire?… la migliore sintesi del concetto… i figli crescono e si staccano dai genitori.

Dott. Giovilli

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