Quando la scienza non basta

15 Gennaio 2019

Voglio descrivere due momenti che mi impongono una riflessione e una condivisione che riguardano l’esercizio del medico in questi posti.

Ieri è venuta Daria, una campesinas proveniente da lontano ed esattamente dai posti dove sono stato 40 anni fa. Mi cercava disperatamente; era accompagnata dal marito e portava con sè gli studi realizzati nella città. La diagnosi era già chiara: si trattava di un carcinoma della cervice dell’utero.

Alla visione e al tatto il cancro era già sviluppato e sanguinante e invadeva le parti confinanti. La paziente di 45 anni e 4 figli, portava già i segni caratteristici del dimagrimento e dell’anemia in corso per il costante stillicidio di sangue. Mi sono fermato con lei e il marito per dedicargli un’oretta e mezzo del mio tempo.

La mia priorità era spiegare quanto sapevo dall’esperienza accumulata in questi anni vedendo altre situazioni simili e spiegare le poche possibilità di recupero per la vita essendo lo stadio del male già avanti.

La situazione di una famiglia campesina così sorpresa da questa notizia, cambia improvvisamente perchè il marito non puó interrompere per molto tempo il ciclo di lavoro nei campi se vuole raccogliere il prodotto della terra che serve per sfamare e tirare avanti la famiglia. Star dietro a un malato/a con poche speranze, perdere oltrettutto il patrimonio accumulato in tutti gli anni di fatica e lavoro per una cura senza certezze, è un rischio che non vuole correre nessuno. E allora? Significa sconfitta e rassegnazione di fronte alla morte senza reagire con ogni forza? Per il povero purtoppo è così.

Non me la sono sentita di orientare questa famiglia facendogli percorrere la strada che la scienza ha preparato e tracciato per allungare di qualche anno in più la vita. Gli anni di vita che rimangono alla povera Daria, percorrendo la sua agonia, sono di alto prezzo e mettono in ginocchio la famiglia che deve accompagnarla negli interventi chirurgici, rincorrere esami di controllo, terapie di molta sofferenza per alimentare la speranza del recupero.

Il finale è poi dettato dal male che avanza e che la scienza, quando il male è già avanzato, non è ancora riuscita a debellare ma solo a controllare, sempre parzialmente e quando ci sono le possibilità. In questi posti, dove si vorrebbe riuscire a fare lo stesso dei paesi ricchi, non è però così, e, seppur sono arrivati i cellulari per tutti, non è possibile avere la stessa salute per tutti!

Oggi è ritornato a visitarmi dalla città, Mario di 31 anni, muratore. Tutto è iniziato qualche mese fa, quando ha notato nella mano destra la perdita di forza nel sollevare i mattoni. La debolezza muscolare è poi passata alla gamba. Ho pensato a una neuropatia alcoolica perché i muratori non si tirano indietro quando c’è da bere e forse ad una intossicazione.

Comunque mi è sembrato utile mandarlo dal neurologo-elettrofisiologo per chiedere un’elettromiografia. E oggi la sorpresa di una malattia degenerativa. Ho parlato con lo stesso neurologo che ha fatto lo studio e non ha avuto nessun dubbio per la diagnosi che è già chiara come SLA!

Come ieri, mi fermo davanti al paziente. La priorità diventa lui, seduto davanti e accompagnato dalla moglie con tre bambini piccoli che devono crescere e dove il padre è l’unica fonte di lavoro e di sostentamento della famiglia. Spiego l’arresa della scienza medica che poco riesce a fare per arrestare la degenerazione nervosa che lascia i muscoli inattivi in forma lenta e graduale, lasciandolo poi in sedia a rotelle e senza possibilità di usare le proprie forze per essere autosufficiente!

Mario mi ha lasciato incredulo; lui sente di avere ancora tanta forza giovane per far fronte alla malattia, per lottare come in uno scontro a pugni tra due persone che qui chiamano il “tinku” e che è lo scontro per propiziarsi i favori della pacha mama (la madre terra). Lui sente che è nelle sue mani poter cambiare questo disegno terribile e poter riprendere il piacere della vita.

Vorrei terminare con delle conclusioni che non mi vengono. A tutti e due, a Daria e Mario ho dato l’immaginetta della “Virgen de los enfermos” .. poca cosa ma che in sostanza significa che il medico non è un Dio perché Lui è qualcosa di superiore.


Pietro Gamba

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