Quando le buone intenzioni diventano azione

20 Agosto 2015

La mezzanotte è passata da quasi un’ora. Fuori il cielo è oscuro terso e permette lo scintillio di milioni di stelle. Oggi è il 190mo anno della fondazione della Bolivia. Da Caraci, distante da noi circa 180 km, è partita l’ambulanza con una giovane medico, che non conosco, che mi ha chiamato per portarci una bambina di 11 anni con peritonite accompagnata dalla sua mamma.
Fin qui nulla di speciale; fa parte del nostro lavoro, una scelta per rimanere sul posto perché quando c’è l’emergenza non siano chiuse le porte, anche oggi che è un giorno speciale di festa che distoglie l’attenzione e i servizi si sguarniscono di personale.
L’aspetto speciale di questa storia è sentire il racconto di come si è mossa la volontà con il fine di farci arrivare la piccola. E’ Carla, la giovane dottoressa che mi racconta.

Lei si è rintanata come in trincea, una vedetta rimasta sola nei posti inospitali e lontani. Mi racconta che per convincere la mamma per il viaggio da noi, ha sacrificato una parte del suo stipendio perché non poteva soffrire un’altra morte di un bambino. Due settimane fa, mi ricorda che mi ha chiamato per un bambino che doveva essere trasferito per un’infezione severa in corso. Quel ragazzo non ci è mai arrivato, e la dottoressa sta ancora aspettando il suo ritorno dalla comunità dove, a detta dei parenti, era andato con la famiglia per cambiarsi e tornare per il viaggio in ambulanza. Si è poi saputo che non è più tornato perché è morto. Con molta tristezza, dice la giovane dottoressa per aver partecipato al suo funerale nella comunità dove erano presenti i suoi genitori che non hanno creduto alla sua azione di salvataggio ma si sono affidati al “curandero” il guaritore locale e anche veggente, consultato perché la coca rivelasse la verità del futuro e svelasse il destino del loro figlio. Il “curandero”, oltre ad essere riconosciuto per l’arte di guarire, è accettato per prevedere il futuro e il destino di loro figlio. Purtroppo la coca, per quel ragazzo, è stata una condanna a morte. Al funerale Carla era carica di sensi di colpa. Il “guaritore” per consolarla tranquillamente le ha detto: “Non ti disperare per la sua morte; io ho letto la coca e questa ha parlato chiaro del suo destino. Due foglie, dopo essere state mischiate e buttate in aria, sono cadute incrociate a forma di croce, indicando con chiarezza che sarebbe morto.”
Contro questo fatalismo e radicate credenze, nessuno può far nulla e nessun ospedale, e nessun medico per quanto preparato con la migliore volontà, può contrastare questi poteri radicati nella cultura della gente del campo.
Per questo, i genitori del ragazzo, si sono rassegnati aspettando il momento fatale senza altre tensioni e senza ulteriori sforzi per ricercare altre soluzioni.
Carla ha pianto la morte come colpevole. Ora è impaurita al pensiero che possa succedere un’altra situazione simile di dolore con la piccola Deyci.

Carla non ha ancora voltato pagina per riuscire ad abituarsi alla sofferenza dell’ingiusta morte che ha vissuto di quel bambino che voleva aiutare. La sua responsabilità l’ha portata a lasciare Madrid, dove è stata per una maestria medica, per ritornare sui posti abbandonati di una cultura difficile da scalfire e per lasciare una profonda traccia della sua azione!
Per questo, con questa bambina di nome Deyci, non ha voluto sopportare angoscianti attese e lunghi sofferenti silenzi. Ha avuto paura di non sentire i passi come di quel bambino che non è più tornato e ha deciso affinché la bambina addolorata con appendicite, fosse portata in ambulanza da noi per sentirsi al sicuro.
La morte quando è salvabile e quando è di innocenti è angoscia, tortura, rode e scava dentro!

Senza esitare, mancando l’autista e la benzina, ha cercato la soluzione chiedendo e pagando di tasca sua per il trasporto.
Il suo stipendio questo mese servirà per aiutare questa piccola, perché non sia troppo tardi e non ci siano sorprese per la sua vita.
L’ambulanza corre forte nel cuore della notte e quando, dopo quasi cinque ore arriva la piccola all’ospedale, Carla tira un respiro di sollievo, come un dovere e missione compiuta per aver portato in salvo questa vita. Mancano poche ore alla chirurgia.
L’esempio e la storia di questa giovane e della morte dei bambini, mi riporta al mio incontro da giovane con la Bolivia. Una sciagura per forzarmi a diventare medico. Oggi capisco molto bene e la memoria è lucida con i particolari d’animo e l’angoscia che si vive quando di fronte appare la sconfitta di una vita innocente che si poteva salvare e che la morte con ingiusta rabbia ha portato via.
La lontananza, i silenzi, l’abbandono e la paura sono gli stessi di trent’anni fa quando la responsabilità che ti carica la storia che vivi ti trasforma.
Farsi carico di chi è dimenticato o conta poco, risalta l’insufficienza dei mezzi e mette in evidenza difficoltà e limiti. Restare soli in posti lontani, compiere il proprio dovere rispondendo ai buoni principi ispiratori del bene, è ancora oggi eroico e degno di ammirazione! In quel posto medico, prima di Carla, vi era rimasto un medico per sei anni, che non ha sentito la difficoltà della gente e unicamente ha pensato al suo piccolo stipendio con il calcolo dei giorni di libera uscita del suo contratto di lavoro.
La lotta della nuova dottoressa è da appoggiare per il grande esempio di fatti concreti e non solo di buone intenzioni, che suscitano emozioni di Bene.

Dott. Pietro Gamba.

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