Relazione del viaggio ad Anzaldo

24 Maggio 2016

Quando Antonio mi ha proposto di andare in Bolivia con lui per il trentennale della nascita dell’ospedale, nella mente magicamente mi sono tornate emozioni ed attimi vissuti con Pietro ventisei anni fa quando per la prima volta conoscevo quella terra. Paesaggi bellissimi dai colori stupendi, altopiani a quote superiori ai 4000 metri, circondati da montagne che hanno altezze improponibili rispetto alle persone normali: vecchi ricordi, solamente accantonati ma ancora indelebili e vivi nel cuore.

Questo offre la Bolivia, ora come allora. È il paese più povero del Sud America ma la sua bellezza affascina sempre, il cielo è davvero blu e l’aria ha un suo particolare profumo. Ogni respiro ti fa sentire in paradiso e più vicino a Dio, tutto questo solamente grazie ad un ambiente dove la presenza umana è scarsa se non totalmente assente.

Questa volta, rispetto a ventisei anni fa, sono tornato in Bolivia pieno di curiosità! Finalmente ho potuto vedere quell’ospedale conosciuto solo nelle fotografie. Avevo lasciato la Bolivia quando la sua struttura non era altro che qualche mattone perimetrale.

Arrivato in Ospedale Pietro mi guida nei vari reparti e mi ricorda che tutto quello che è presente in ogni ambiente, parla di qualcuno o di qualcosa. Guardando meglio riconosco macchinari che in Italia sono stati alienati ma che da anni ad Anzaldo hanno una nuova vita dignitosa e soprattutto preziosa per la buona salute dei pazienti.

Guardando ogni singola parte dell’ospedale mi torna in mente tutto il lavoro che nel mio piccolo ho sempre cercato di svolgere. Quanti giorni passati a preparare con cura i container, con tutti quei macchinari preziosi, assieme a papà Battista che, parsimonioso come sempre, sapeva imbottirli, in ogni minimo spazio, con materiali più piccoli utili all’attività in Bolivia.

L’ospedale è stato costruito con l’idea della funzionalità e della praticità che solo noi italiani sappiamo mettere in atto. Questo fa onore a Pietro che dal nulla è riuscito a creare qualche cosa di veramente grande sapendo valorizzare al massimo questa struttura.

Al di fuori dalla porta c’é il meraviglioso popolo andino, gente che sa vivere con poco, molto fiera delle proprie origini e delle sue tradizioni. Queste persone fin dall’antichità hanno dovuto sottostare alle dominazioni degli spagnoli senza mai dimenticare le tradizioni e la religione che sono ancora vive e affermate ai giorni nostri. Questa popolazione stranamente non trova alcun contrasto tra la fede cristiana, allora imposta, e la devozione verso le antiche divinità: il sole o dio Inti, (dio della vita) la luna e la madre terra, chiamata “Pachamama”, che doverosamente ad ogni occasione non mancano di ringraziare offrendole ciò che hanno a disposizione come le foglie di coca, l’alcool o la classica “chicha”, una bevanda locale. È stata un’esperienza breve ma vissuta a pieno, ricca di emozioni e sensazioni sempre nuove.

La festa del trentennale dalla nascita dell’ospedale, organizzata da Margherita, laboriosa moglie di Pietro, ha dimostrato ancora una volta la grandezza e la stima della gente di Anzaldo verso questa attività medica che è stata creata tra le montagne. Il fatto che la popolazione sia riconoscente per l’importanza della presenza di Pietro, della sua famiglia e di una struttura cosi essenziale sul loro territorio e in tutta l’area che riunisce svariate comunità, mi rende a mia volta orgoglioso di ciò che incredibilmente è stato realizzato.

Queste persone mi rimarranno per sempre nel cuore cosi come la gente di Challyiri, la più povera tra i poveri, che con la loro serenità ed il loro viso segnato dalla fatica, mi hanno trasmesso gioia ed il sorriso sul volto, insieme ad una lacrima di nostalgia.

Carpe diem. L’emozione di un attimo può diventare indelebile per tutta una vita! Ed io ne porto con me tante.

Dario Locatelli

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