Volti

15 Aprile 2010

Non sempre in Ospedale si vedono le immagini di questi giorni, dove persone della stessa età, stessa condizione di povertà, stessa provenienza, si ritrovano insieme, uniti da una comune malattia, il Chagas, che richiede uno o più interventi chirurgici.

Li vedi arrivare carichi dei loro variopinti fagotti pieni di niente, simbolo di manifesta miseria, che nessuno oggi vorrebbe vedere come un quadro reale. Nella durezza dei loro volti, si notano i segni del dolore e della dura sofferenza sopportata in solitario abbandono; quasi indecifrabili e nascoste rimangono le emozione che portano dentro.

La realtà è che per il mondo queste persone contano poco o nulla, loro stessi non chiedono nulla alla vita, non chiedono nulla alla società che li ignora. Suscitano nel mio profondo, emozioni silenziose, difficili da esprimere.

Sono persone molto semplici in grado di comunicare solo tra loro perché accomunati dallo stesso livello culturale; il nostro mondo di medici è molto distante da loro anche se vorremmo più che mai esser loro vicini. Gli ostacoli culturali non si abbattono facilmente.

Provengono da zone montagnose lontane, dove il lavoro sotto il sole è quotidiano, si alzano di primo mattino per lavorare la terra con strumenti arcaici, resistendo a sforzi e sacrifici immani, non senza sofferenza, che sopportano fino all’ultimo. Quando si ammalano, la resistenza per vincere il dolore fino all’ultimo diventa una sfida, una lotta condotta aspettando che la dura fibra del corpo riesca ad avere il sopravvento sulla malattia.

Per loro essere in Ospedale rappresenta un fallimento, un comportamento di arresa, di debolezza e sconfitta, come una battaglia persa per non aver saputo sopportare fino alla fine il male che naturalmente li domina.

Provati da questa condizione di abbandono, dimenticati da tutti, arrivano in ospedale senza nulla, senza neppure avere la capacità di valorizzare il servizio che qui ricevono. Qui giungono quando il dolore non è più sopportabile, quando la mente ha già pensato alla morte come una compagna vicina per finire i tormenti del dolore.

Queste persone non contano agli occhi della società civilizzata; il sistema politico che si avvicenda, li tiene in considerazione solo nel tempo delle elezioni e poi, puntualmente, li lascia al loro solito e conosciuto destino con l’intima speranza che un giorno qualcosa possa cambiare.

Le loro mani sono callose e indurite per gli anni di lavoro sempre uguale in questa loro terra che conoscono da sempre dove i cambiamenti sono rari e difficili. Conservano un dignitoso silenzio fatto di profonda pazienza e di rassegnata sopportazione.

Tutti gli sforzi di una vita non servono ad accumulare alcunché; il loro grande sforzo serve solamente per la sopravvivenza. Quando poi arriva la sorpresa che qualcuno della famiglia si ammala e rischia la vita, si trovano spaventati per non avere i mezzi necessari e sufficenti per le cure mediche che normalmente si devono pagare. Quando subentra la sfida con la morte, ricorrono a sacrificare alcuni dei loro animali oppure a farsi prestare dei soldi che poi devono restituire con interessi o compromessi di debito in lavoro … un circolo vizioso che li rende alla fine ancora più poveri.

La prova difficile è lo scontro con la nostra mentalità della previsione, dei costi, dei preventivi, dei bilanci su cui si fonda una normale società civile contro la loro che è di sussistenza e improvvisazione con pochi risultati.

Guardo i miei pazienti da questo osservatorio; alcuni stanno recuperando e si spostano con le stampelle, accompagnati sempre da un famigliare che non li abbandona. Da queste immagini, è facile che il cuore senta e partecipi una bontà religiosa che si recupera dal profondo, per farsi carico ed equilibrare quell’ ingiustizia che non è solo di oggi, ma si trascina da secoli. Prendersi cura di loro diventa un obbligo, un dovere morale.

La percezione che non si riesce ad aiutare tutti … la consapevolezza dei nostri limiti, il doversi accontentare del poco che si riesce a fare per queste persone che ci chiedono concretamente una mano, spesso affligge i nostri animi. Spero che attraverso la possibilità di un intervento chirurgico gratuito che risolva il loro problema, riusciamo a dire loro, senza spiegazioni, che siamo loro vicini.

La mia mente viene sconvolta pensando alle ingiustizie del mondo; penso che le cose vanno cambiate attaccando i sistemi politici, combattendo il modo di pensare comodo delle autorità che qui incontro cariche di arroganza, distanti e disinteressate a queste realtà che non cambiano fintanto resiste l’opportunismo di pochi che non vogliono avvicinare questi volti sofferenti.

Tante cose si possono fare, mentre ancora molti stanno aspettando questa rivoluzione che non si vede ed è ancora un bel sogno da realizzare!

Oggi per me è concreto il volto di Militon, di Fructuoso, di Victorino che sono persone aiutate qui con una chirurgia e che possono continuare a vivere senza alimentare ulteriormente la loro povertà.

Cosciente dell’insufficienza dei miei sforzi per cambiare questa realtà, sono certo che mio padre sarebbe fiero di me per queste azioni. Di questo sono contento e mi basta, porto rispetto per mio padre che diventa anche il mio “Signore” come qualcosa di “Superiore” con cui relazionarmi e che sento vicino.

Da questi volti duri, inespressivi e chiusi, da queste persone con poche parole, non mi aspetto l’esultante manifestazione del grande entusiasmo..

Le nostre azioni, i nostri sforzi a questa gente sembrano una cosa normale, confuse con la normalità di ogni giorno, confuse tra il dolore e la morte di queste persone. Sono tanto normali che non hanno bisogno di nessun grazie! Eppure in questa realtà che conosco, so che altrove non è normale che un campesino trovi un completo trattamento chirurgico gratuito e anche i soldi per il viaggio di ritorno!

Probabilmente queste persone di noi non ricorderanno neanche i nomi, e noi presto dimenticheremo i loro. Tutto passa veloce. Il senso di tutto questo è che nei ricordi della nostra vita, questi piccoli gesti danno un profondo senso all’esistere e tornano di riflesso maggiorati su di noi con la percezione che siamo vicini e in amicizi con queste persone. Poco importa poi se non sanno che anche noi, per essere capaci di dono, abbiamo attorno molti amici che rendono possibili questi gesti.


Pietro

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