Sapori nuovi … riflessioni

20 Marzo 2020

Scrivere sul Coronavirus è un esercizio possibile, in questi tempi di isolamento.
M’interrogo su cosa porterà, perché si percepisce che ci sono in gioco questioni importanti, che certamente condurranno a un futuro cambiamento.
Oggi mi sono riunito con le autorità locali e con i responsabili del “Centro di Salute” del Municipio di Anzaldo.
Con questi ultimi, sono vari anni che non riusciamo a comunicare seriamente, per costruire insieme qualcosa di utile per gli altri. Non è stato possibile anche solo guardarci in faccia e dirci che siamo medici, che dovremmo preoccuparci di guarire senza dare importanza alla divisione tra “privato” e “statale”, quando si tratta di salvare delle vite.

Oggi, un primo passo è che siamo qui, pronti e disarmati, con la decisione importante di unire le energie, e senza nessuna volontà di voler sembrare più bravi o più forti degli altri.
L’intesa sta per nascere: il Comune metterà a disposizione ciò che potrà per la protezione del personale sanitario, privato e pubblico, e se sarà necessario, rafforzerà l’ospedalizzazione di pazienti infetti che avranno bisogno di laboratorio, radiografie e ossigenoterapia, con il proprio personale sanitario.
Per i casi più gravi, le loro ambulanze s’incaricheranno del trasporto ai centri di terapia intensiva di maggior efficacia.
Il virus inizia a insegnare il diverso significato e valore della Solidarietà, che molte volte ho trovato nelle persone sensibili del mio Paese. Ma ora anche qui lo ritrovo come valore unico, con lo stesso significato e con sapore piacevole. È un gusto dolce, che fa bene assaporare. Ravviva la forza e l’entusiasmo di essere medico per vocazione, in questo Paese, dove offriamo tutta la disponibilità di tempo, passione, conoscenza e forza, per alleviare il dolore degli altri.

Una riflessione positiva, in questi momenti, è data dai volontari italiani che sono passati da qui, con i quali mi mantengo in comunicazione via internet.
Oggi sono medici in Italia e quasi tutti sono impegnati sul fronte dell’emergenza, coinvolti con responsabilità, impegnati per affrontare il pericolo e la fatica dove scarseggia il personale e non c’è possibilità di una regolare sostituzione. Diciassette ore al giorno di lavoro, senza riposo, guardando morire quelli che vorresti salvare, vedendo la morte attorno, con la solitudine che devi imporre per evitare il contagio, con l’atrocità di vedere morire chi rimane lucido fino all’ultimo respiro, senza possibilità del conforto di una stretta di mano da parte di un famigliare o un amico.

Queste emozioni scalfiscono la sensibilità di chiunque e, pur senza darlo a vedere, il medico non è insensibile e piange per questa atroce situazione, Si sente impossibilitato a cambiarla, ma non può accettarla come normale. Non ci si abitua a questa sorte ingiusta… Viene da piangere, quando si deve decidere chi aiutare e chi abbandonare al proprio destino, per mancanza di mezzi, di forze, energie e aiuti, per far fronte all’emergenza.
Alcuni colleghi sono stati capaci di esempi superiori, senza paura, e il contagio è arrivato debilitando ancora di più, peggiorando la situazione.Queste situazioni noi le sentiamo, anche se qui in Bolivia non sono ancora arrivate.
Ma se dovessero arrivare qua, cosa ci si aspetterebbe?
L’esempio ci viene dai volontari che sono passati da noi, anche solo per un mese, e che ora sono i sostenitori di un dovere da compiere, di un volontariato che non è fare turismo. Questi volontari, oggi giovani medici, sono in prima linea nelle terapie intensive di emergenza, impegnati con convinzione nel dare tutto, in una situazione molto grave e con elevati rischi personali.
Ringrazio ed esprimo un sentimento di riconoscenza, quindi, a chi è venuto in Bolivia come volontario, per farsi emozionare da un Paese più povero, forse imparando da una Medicina più umana e vicina al paziente. Oggi questi giovani sono chiamati a dare il proprio servizio, dimostrando i fondamenti della propria scelta di medici, e impegnati per la salute di chi ha bisogno. Questi valori ci fanno forti, ci sorreggono nella missione di medico, ed emergono nel bisogno e nella difficoltà, senza calcolo personale né risparmio di energie.

Un altro pensiero sollecitato dal virus, riguarda Norma, l’ultima delle mie quattro figlie che ha compiuto 21 anni e soffre della Sindrome di Down.
È cresciuta assieme alle altre tre sorelle maggiori, andando a scuola in città.
Dallo scorso novembre è diplomata, e ora si trova nel momento di scegliere l’occupazione cui dedicarsi.
In questo momento è con noi in Anzaldo, poiché le sue sorelle hanno lasciato la casa vuota: Silvia è a Bilbao per la specializzazione medica, Alba è a Milano per studiare presso l’accademia di Moda e Linda sta pilotando aerei in giro per i cieli della Bolivia.

Le scuole sono chiuse, le attività mezze ferme, e si ritrova il tempo per pensare, restare vicini ai propri famigliari e pregare anche per quelli lontani.
In Cochabamba, di fatto, non esiste un’occupazione adatta per i Down. C’e da fare ancora molto per la disabilità, eppure su questo argomento c’è ancora molto da imparare. La loro spontanea e innata propensione a non fare calcoli di interesse, e offrire un sorriso con buona volontà a quanti avvicinano. Il loro stesso “rallentamento” fa intravedere un modo diverso di concepire la convivenza tra gli uomini e il Mondo.

Voglio spingermi oltre e lasciarmi trasportare dall’immaginazione.
La lezione del Coronavirus, con i suoi prevedibili prossimi mutamenti, ci proietta in un mondo che sfugge al controllo della programmazione, della conoscenza razionale, dei calcoli tecnologici, e ci apre a nuove considerazioni. Si riscopre il gusto del tempo che si passa senza fretta e vicino ai famigliari, oppure quanto è bello il servizio dato gratuitamente per gli “altri”, che rimane un dono grande da condividere.
Norma oggi ha sorpreso tutti con un suo spontaneo dono di attenzione.

Mentre eravamo riuniti attorno al tavolo, con il sindaco, i responsabili della Salute e della polizia del paese, per concordare le strategie e far fronte al Coronavirus, Norma ha preparato sei tazzine di caffè debitamente ordinate con il piattino, il cucchiaino e lo zucchero, su un vassoio che ha portato come sorpresa gradita da tutti i presenti.
È stato un grande gesto di spontanea e squisita delicatezza, che mostra tutta l’attenzione per l’altro.
Alcune volte ho “percepito” che il dono della persona Down è quello che stiamo cercando per non distruggerci. Finora non ho visto in Norma un sentimento di odio o di rancore per qualcuno.
Che sia a causa di quel gene in più che la caratterizza?

Mi domando forse azzardando un po`: “… e se morissimo tutti e dovessero sopravvivere solo i Down, per la continuazione della specie umana, questo non porterebbe a un mondo migliore dell’attuale?”
Sotto l’effetto del contagio virale, però, forse i pensieri sono stimolati da troppe fantasie.
Di fatto, qualcosa di buono si riesce a leggere attorno, ed è sempre l’apertura di chi si lascia coinvolgere dall'”altro”, soprattutto quando è nel bisogno, in contrapposizione all’egoismo che spinge a rinchiudersi con paura.

Dott. Pietro Gamba

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