Una battaglia impari

14 Febbraio 2017

La guerra contro la malattia non è mai ad armi pari. Il medico sa già che parte sfavorito, sa che le malattie non si possono guarire, al massimo si possono curare.

Immaginate di trovarvi di fronte ad un nemico che avanza con armi di gran lunga migliori delle vostre, che possiede bombe atomiche… Voi possedete solo un fucile con pochi colpi in canna. Siete trincerati e aspettate la battaglia. Il medico a volte si sente così. Al suo fianco, nella trincea, può contare solo sui colleghi, sulle infermiere, sui tecnici del laboratorio analisi.

Se foste all’ospedale di Anzaldo, per giunta, non disporreste neanche del vostro fucile e dei pochi colpi in canna. All’ospedale di Anzaldo vi rimarrebbe soltanto una fionda.

Comprendere questi concetti è fondamentale per capire il clima che si vive qui.

I pazienti non hanno fiducia nello Stato e dopo la mia traumatica esperienza all’ufficio immigrazione per il rinnovo del visto capisco perché. La burocrazia è asfissiante, non segue i regolamenti ma la volubile spocchiosità degli impiegati allo sportello. Se decidono di metterti i bastoni fra le ruote, avrai vita difficile. È come affrontare il nemico mentre cerchi di uscire dalle sabbie mobili.

Aggiungete il fatto che in Bolivia non esiste un sistema sanitario nazionale: se ti ammali devi pagarti le cure. Devi pagarti le medicine, la sala operatoria, le trasfusioni, persino i cerotti che ti mettono, sia che tu abbia un raffreddore sia che tu abbia un tumore. Per giunta tutto si strapaga. Quando Pietro chiede ai pazienti “quanto ti hanno chiesto per l’intervento a Cochabamba?” scopriamo sovente che il conto è solitamente il doppio o il triplo di quanto dovrebbe essere.

Talvolta i pazienti dopo essere stati all’ospedale statale giungono alla nostra attenzione disperati perché non possono pagare, supplicando di essere aiutati, arrivando addirittura a nascondere la diagnosi nella speranza che ne venga riformulata una meno grave.

La vera forza di Pietro e dei suoi collaboratori credo stia proprio nella sua incapacità ad arrendersi di fronte ad un rifiuto o ad una porta chiusa.

La sconfitta sopraggiunge quando si molla, si abbandona la battaglia dicendo a se stessi “di fronte a queste difficoltà mi arrendo perché non ne vale la pena”. Se guardiamo dentro a noi stessi, con sincerità e in estrema sintesi, troveremo episodi in cui abbiamo mollato dando la colpa al sistema. È umano, ci mancherebbe, ma questa è la definizione di debolezza.

Qui ho trovato persone che prima di arrendersi vendono cara la pelle, fanno davvero tutto quello che è in loro potere prima di gettare la spugna. Anche se armati di fionda combattono contro un nemico con le bombe atomiche. E il più delle volte vincono.

Dott. Davide Razzini

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